No, gli uomini non sono più violenti delle donne

black

Si sente spesso dire che gli uomini siano “la maggior parte degli omicidi e dei criminali”, ma al tempo stesso che tale differenza non sia “biologica, ma dipesa dai ruoli che imponiamo ai maschi sin da piccoli”.

In primo luogo è vero che vi sono differenti modalità attraverso cui vengono educati maschi e femmine, ma di norma il ruolo che viene imposto ai ragazzi è definibile “mascolinità ‘positiva’” (“positiva” per gli altri ovviamente, ma non per se stessi), e attraverso di esso si insegna ai maschietti a “proteggere” le donne, a “fare i lavori pesanti” e a “non piangere”.
Tale mentalità è dunque associabile a quella di un “tutore-cavaliere”: piuttosto che alla violenza e all’abuso di potere si impartisce ai fanciulli di utilizzarlo per proteggere. Questo, certamente, può spiegare il motivo per cui gli uomini non chiedono aiuto quanto le donne nei momenti di difficoltà, il che li conduce a diventare l’80% dei suicidi, spiega il motivo per cui gli uomini scelgano i lavori più pericolosi (il che li conduce a diventare il 90% delle morti sul lavoro), ma tali modifiche implicano preferenze indotte e non sentimenti, pulsioni o istinti come la rabbia. Considerando poi che la maggior parte dei genitori non incita i figli a comportamenti antisociali, il pensiero che imputa agli uomini la maggior parte dei crimini ritiene che tali influenze vengano da “ruoli” socialmente imposti, sebbene non mostrati attivamente (come può invece esserlo un esplicito comportamento d’abuso).
Questa ipotesi in realtà è già stata demolita, difatti un pensiero simile, quello che adduceva una maggiore propensione alla violenza da parte dei giocatori di videogame violenti, è stato distrutto dall’evidenza. Ad esempio uno studio del 2010 sulla rivista Social Neuroscience ha mostrato come i dati abbiano “suggerito che l’abilità a differenziare automaticamente tra violenza reale e virtuale non sia diminuita da una storia a lungo termine di gioco di videogame violenti, né le risposte neurali dei giocatori alla violenza reale in particolare siano state soggette a processi di desensibilizzazione” [1].
In che modo, dunque, tali ruoli inconsci possano indurre alla violenza in maniera addirittura maggiore di una simulazione virtuale semplicemente alludendo implicitamente ad essi rimane un mistero (o meglio, una menzogna).

Ma prendiamo per pura ipotesi che possa essere uno stereotipo a inchiodare gli uomini a quelle percentuali: quale potrebbe essere il più forte?
Quello che ripete loro che sono il sesso più violento!
Esatto, lo sbandieramento di queste stesse dubbie statistiche, qualora l’ipotesi ruolo-violenza fosse vera, sarebbe alla base delle diverse propensioni al crimine, e, paradosso dei paradossi, proprio una società che implicasse un’assenza di accanimento verso un genere piuttosto che l’altro porterebbe a una parità di risultati nel giro di qualche generazione.
Questo ovviamente includerebbe anche un’equa suddivisione delle figure “più cattive” e “antagoniste” tra i generi all’interno dei film (soprattutto d’animazione) – mentre attualmente vi è una preponderanza di “cattivi” di sesso maschile nella rappresentazione cinematografica – e nei TG andrebbe dato lo stesso spazio riservato agli uomini violenti anche alle donne autrici di abusi.

Ma sapete perché tutto ciò è distopico? Perché i ruoli di genere non sono annoverati tra i principali fattori di rischio nella propensione alla criminalità!

Vediamo ad esempio cosa ci dice il Ministero della Giustizia Neozelandese [2]. I fattori di rischio sono legati a:
– Famiglia (il più influente): criminalità in famiglia, poca supervisione, rifiuto del bambino, punizioni fisiche, violenza familiare, maltrattamento infantile.
– Istruzione: non partecipazione a scuola, basso livello di istruzione dei genitori.
– Status economico: povertà, disparità, disoccupazione.
– Comunità e pari: gruppi di pari già collusi in comportamenti antisociali.
– Alcol e droghe.

Strano che il principale responsabile della differenza abissale tra uomini e donne non sia elencato! Forse dunque, qualora vi fosse una differenza (che, come vedremo a breve, se sussiste, certamente non è significativa), significherebbe soltanto che lo Stato assiste in maniera minore gli uomini.

Difatti esistono almeno 4 volte più campagne d’assistenza alle problematiche femminili che a quelle maschili [3] nonostante gli uomini vivano meno delle donne [4], siano il 94% delle morti sul lavoro [5], l’86% dei senzatetto [6], il 78% dei suicidi [7], il 74,5% delle vittime di omicidio [8] (e questo dato non è interpretabile diversamente, sussistendovi il corpo nella stragrande maggioranza dei casi a testimoniarlo), il 95% dei suicidi per cause economiche [7], il 60% delle dispersioni scolastiche [9] e hanno un terzo di probabilità in meno di andare all’università rispetto alle donne [10].
Eppure, come detto in precedenza, tale differenza se sussiste per questi motivi, di certo non è significativa, e lo dimostrano le indagini nazionali e internazionali.
Infatti, sebbene il 90% degli arrestati per violenza sessuale siano uomini, studi nazionali statunitensi (che includono dati del Bureau of Justice Statistics, dei Centers for Disease Control and Prevention e dell’FBI) [11], internazionali [12] e scolastici [13], mostrano come gli uomini siano la metà delle vittime e le donne la metà degli autori di stupro (qui per maggiori informazioni). Lo stesso meccanismo si applica nei casi di violenza domestica e quindi non si vede perché non debba sussistere nei casi di omicidio o di crimini meno gravi. Questo a maggior ragione visto che uno studio del 2013 del Robert Koch Institute, parte del Ministero Federale della Salute tedesco, ha rilevato che, nel totale complessivo della violenza fisica perpetrata, le vittime nell’anno precedente erano più uomini che donne, e che nella frequenza di chi fosse l’autore di violenza fisica non vi fosse differenza significativa tra i sessi [14].

Questa differenza nell’incarcerazione e nella gravità delle pene viene definita “sessismo giuridico”, ed è stata registrata già da tempo. Vediamo alcuni studi in proposito.
Una ricerca dell’Università di San Francisco, pubblicata anche sul Berkeley Journal of Gender, Law & Justice, afferma:
“Abbiamo anche esaminato, attraverso questo studio e precedenti studi della California, i dati più generali sulle disparità di genere nel condannare a morte e abbiamo trovato una sostanziale disparità riguardante il genere-dell’-imputato e il genere-della-vittima. Le donne colpevoli di omicidio capitale hanno molte meno probabilità degli uomini di essere condannate a morte, e gli imputati che uccidono le donne hanno di gran lunga maggiori probabilità di essere condannati a morte degli imputati che uccidono gli uomini. Noi sosteniamo che tutti questi risultati sono in linea con le norme cavalleresche, e possiamo concludere che, nelle decisioni dei pubblici ministeri di chiedere la morte e nelle decisioni delle giurie di imporla, la cavalleria sembra essere viva e vegeta.” [15].

Sonja B. Starr dell’Università del Michigan ha riscontrato che “le arrestate femmine hanno significativamente più probabilità di evitare accuse e condanne del tutto, e due volte più probabilità di evitare il carcere se condannate [16] e Theodore R. Curry e colleghi dell’University of Texas hanno trovato l’evidenza che i delinquenti che vittimizzavano femmine ricevevano condanne sostanzialmente più lunghe dei delinquenti che vittimizzavano maschi. I risultati mostrano anche che gli effetti del genere delle vittime sulla lunghezza delle sentenze sono condizionate dal genere dell’autore del reato, in modo tale che i delinquenti maschi che vittimizzavano le femmine ricevevano le condanne più lunghe di qualsiasi altra combinazione genere della vittima/genere dell’autore del reato [17].

Addirittura secondo le statistiche del Dipartimento di Giustizia statunitense (che inizialmente non divise questo dato a seconda del genere, ma grazie ad Alan Dershowitz del Washington Times, che chiese agli autori di farlo, vennero alla luce i risultati), le donne che uccidono i propri mariti hanno il 12,9% di probabilità di essere assolte e il 17% di ottenere la libertà condizionale, mentre i mariti che uccidono le mogli hanno solo il l’1,4% di possibilità di essere assolti e appena l’1,6% di ottenere la libertà condizionale. Inoltre, le donne colpevoli di aver ucciso i propri mariti ricevono una condanna media di 6 anni, mentre gli uomini colpevoli di aver ucciso le proprie mogli ricevono una condanna media di 17 anni. (Per comparazione, la sentenza media per l’omicidio di un non-familiare, negli USA, è di 14,7 anni) [18].

Anche fonti femministe, come uno studio del 2012 su “Feminist Criminology” confermano il dato, mostrando che a parità di crimine, nei reati sessuali, gli uomini ricevono condanne più lunghe:
“L’ipotesi “donna cattiva” affermerebbe che le donne siano condannate più duramente, ma i dati mostrano che gli uomini ricevono condanne più lunghe per i reati sessuali rispetto alle donne. Il supporto è fornito per l’”ipotesi cavalleria” per spiegare l’immediata disparità di condanna” [19].

In aggiunta, uno studio del 2013 afferma che “non è sorprendente che Mellor e Deering (2010) abbiano trovato atteggiamenti differenti nei confronti di abusi sessuali infantili perpetrati da maschi e da femmine in un campione di 231 psichiatri, psicologi, psicologi in prova e operatori di protezione dell’infanzia. I perpetratori femminili avevano più possibilità di essere trattati con clemenza, portando ad una minimizzazione degli abusi sessuali commessi da donne su bambini […]. Inoltre, il sistema di giustizia penale sembra essere discriminante nei confronti dei maschi. Sandler e Freeman (2011) hanno trovato che al sesso femminile si riduce significativamente la probabilità di incarcerazione per i trasgressori condannati per reati sessuali. Deering e Mellor (2009) hanno confermato un minor tempo di carcere e un più breve periodo di fermo per le pedofili femminili nel loro studio australiano. In termini di politiche di arresto, Felson e Pare (2007) hanno dimostrato che è particolarmente improbabile che la polizia arresti donne che aggrediscono i loro partner maschili. Gli stessi risultati sono stati precedentemente riportati da Brown (2004).” [20].

Secondo uno studio dell’Università di Harvard, non si salverebbero da questo gap sessista (che viene paragonato a quello razzista nelle percentuali) neanche gli omicidi veicolari:
“In particolare, le caratteristiche delle vittime sono importanti determinanti della condanna tra gli omicidi veicolari, dove le vittime sono fondamentalmente casuali e dove il modello ottimale di punizione prevede che le caratteristiche delle vittime debbano essere ignorate. Tra gli omicidi veicolari, i conducenti che uccidono donne ottengono il 56 per cento di sentenze più lunghe. I conducenti che uccidono neri ottengono il 53 percento di sentenze più corte.[21].

Una ricerca statunitense del 2001 su 77.236 casi federali ha esaminato le differenze nelle sentenze per quanto riguarda i reati di rapina in banca, traffico di droga, possesso/traffico di armi, furto, frode e immigrazione, trovando che maschi e neri avevano meno probabilità di ottenere assoluzione quando questa opzione era disponibile, meno probabilità di ricevere diminuzioni di pena e più probabilità di ricevere aumenti di pena rispetto a bianchi e a femmine [22].

Uno articolo del 2000 su Criminal Justice Policy Review mostra come ancora nel 2000, a Chicago, Miami e Kansas City, le donne continuavano ad avere minori percentuali di incarcerazione. Inoltre, sebbene la discriminazione colpisse maggiormente gli uomini di colore rispetto ai bianchi, non vi era differenza nel trattamento a seconda dell’etnia per quanto riguardava le donne [23]. Questo stesso risultato è stato confermato da una ricerca del 2006 sul Journal of Quantitative Criminology [24].

Minore possibilità di incarcerazione per le donne e sentenze più lunghe per gli uomini sono state trovate anche per quanto riguarda i dati del Sud dell’Australia, come riportato da uno studio del 2010 su Current Issues in Criminal Justice [25].

Addirittura nel Regno Unito le linee guida hanno richiesto ai giudici di sentenziare le donne colpevoli di crimini in maniera più leggera rispetto agli uomini [26].

Tra le varie ricerche, però, quella che fuga ogni dubbio è una apparsa sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS (Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, “Proceedings of the National Academy of Sciences”), una delle principali e più autorevoli a livello mondiale, che ha fatto notare, tramite un’analisi dei dati degli ultimi cinquant’anni, come gli uragani con nomi femminili facciano più morti rispetto a quelli con nomi maschili. Per spiegare il motivo alla base, i ricercatori hanno sottoposto a un campione di oltre 1300 persone sei differenti scenari. Per ciascuno scenario sono state fornite, oltre al nome, varie informazioni su un ipotetico uragano in arrivo, chiedendo poi ai soggetti di valutarne la pericolosità, quali misure precauzionali intendessero adottare, e se avrebbero deciso di rimanere a casa o evacuare. È risultato che in tutti gli scenari gli uragani dal nome femminile inducevano un livello di allarme più basso, e in particolare una minore disponibilità all’evacuazione, rispetto agli uragani con nome maschile. Questa tendenza, inoltre, è apparsa altrettanto forte sia nelle donne sia negli uomini [27] [28] [29].
Chiediamoci dunque, se un agente atmosferico risente di questo stereotipo al punto da far mettere a repentaglio la vita alla popolazione, quanto può essere radicato nei confronti di persone di sesso femminile in carne ed ossa?
E se arriva ad applicarsi addirittura in questo campo, come possiamo pensare che non arrivi a farlo nei tribunali?

Cosa fare allora?

È opportuno effettuare una sensibilizzazione nei confronti dei giudici (ad esempio richiedendo l’inserimento di questi dati nei curricola universitari delle facoltà che li formeranno, in modo che ne siano consapevoli nel successivo periodo di lavoro) ed esigere la creazione di un’istituzione interna ai tribunali (un “osservatorio”) che analizzi l’insieme dei processi effettuati ogni anno, ne verifichi l’equità rispetto al genere (ma anche relativamente alla classe e all’etnia) e che pubblichi regolarmente un report in merito.

Note:

  1. [Regenbogen C, Herrmann M, Fehr T. The neural processing of voluntary completed, real and virtual violent and nonviolent computer game scenarios displaying predefined actions in gamers and nongamers. Soc Neurosci. 2010;5(2):221-40.]
  2. [Ministry of Justice (MOJ). (2009). Strategic Policy Brief:social risk factors for involvement in crime.Wellington: Ministry of Justice.]
  3. [Glen Poole. Equality for Men. Lightworks Publications, 2013.]
  4. [Peter Baker, Shari L Dworkin, Sengfah Tong, Ian Banks, Tim Shand e & Gavin Yamey. The men’s health gap: men must be included in the global health equity agenda. Bulletin of the World Health Organization 2014;92:618-620.]
  5. [OSSERVATORIO SICUREZZA SUL LAVORO DI VEGA ENGINEERING Elaborazione Statistica degli Infortuni Mortali sul Lavoro Anno 2014: aggiornamento al 30/09/2014 a cura dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering su base dati Inail]
  6. [ISTAT. Anno 2011. Le persone senza dimora. 9 ottobre 2012.]
  7. [EU.R.E.S. L’ultimo grido dei senza voce Il suicidio in Italia al tempo della crisi. 2012.]
  8. [Nicola Graham-Kevan. Distorting Intimate Violence Findings: Playing with Numbers. European Journal on Criminal Policy and Research, December 2007, Volume 13, Issue 3-4, pp 233-234.]
  9. [ISTAT. Anno 2010. Riduzione dell’abbandono scolastico. 27 maggio 2011.]
  10. [OECD 2012. Education Indicators In Focus. How Are Girls Doing in School – and Women Doing in Employment – Around the World? 2012/03 (March).]
  11. [Stemple L, Meyer IH. The sexual victimization of men in america: new data challenge old assumptions. Am J Public Health. 2014 Jun;104(6):e19-26.]
  12. [Hines DA. Predictors of sexual coercion against women and men: a multilevel, multinational study of university students. Arch Sex Behav. 2007 Jun;36(3):403-22.]
  13. [Ybarra ML, Mitchell KJ. Prevalence rates of male and female sexual violence perpetrators in a national sample of adolescents. JAMA Pediatr. 2013 Dec;167(12):1125-34.]
  14. [Schlack R, Rüdel J, Karger A, Hölling H. Physical and psychological violence perpetration and violent victimisation in the German adult population: results of the German Health Interview and Examination Survey for Adults (DEGS1). Bundesgesundheitsblatt Gesundheitsforschung Gesundheitsschutz. 2013 May;56(5-6):755-64.]
  15. [Shatz, Steven F. and Shatz, Naomi R., Chivalry is Not Dead: Murder, Gender, and the Death Penalty (February 19, 2011). Univ. of San Francisco Law Research Paper No. 2011-08; Berkeley Journal of Gender, Law & Justice, Vol. 27, No. 1, 2012.]
  16. [Starr, Sonja B., Estimating Gender Disparities in Federal Criminal Cases (August 29, 2012). University of Michigan Law and Economics Research Paper, No. 12-018.]
  17. [Theodore R. Curry, Gang Lee, S. Fernando Rodriguez (2004). Does Victim Gender Increase Sentence Severity? Further Explorations of Gender Dynamics and Sentencing Outcomes. Crime & Delinquency 50:319–43.]
  18. [Michael Weiss, Cathy Young. Feminist Jurisprudence: Equal Rights Or Neo-Paternalism? Policy Analysis No. 256, Cato Institute, June 19, 1996.]
  19. [Embry R & Lyons Jr. PM. (2012) Sex-based sentencing: sentencing discrepancies between male and female sex offenders. Feminist Criminology, 7(2):146-162.]
  20. [Koller, Jürgen. “The ecological fallacy” (Dutton 1994) revised. Journal of Aggression, Conflict and Peace Research 5.3 (2013): 156-166.]
  21. [Bruce Sacerdote and Edward Glaeser. “Vengeance, Deterrence, and Incapacitation.” The Journal of Legal Studies 32, 2 (June 2003).]
  22. [Mustard, D. (2001). Racial, ethnic and gender disparities in sentencing: Evidence from the U.S. federal courts. Journal of Law and Economics, 44, 285-314.]
  23. [Spohn C and Beichner D (2000) “Is Preferential Treatment of Females Offenders a Thing of the Past? A Multisite Study of Gender, Race, and Imprisonment”. Criminal Justice Policy Review vol 11 no 2 pp 149–84.]
  24. [Darrell Steffensmeier, Stephen Demuth. Does Gender Modify the Effects of Race–ethnicity on Criminal Sanctioning? Sentences for Male and Female White, Black, and Hispanic Defendants. J Quant Criminol (2006) 22:241-261.]
  25. [Jeffries, Samantha & Bond, Christine (2010) Sex and sentencing disparity in South Australia’s higher courts. Current Issues in Criminal Justice, 22(1), pp. 81-97.]
  26. [Steve Doughty. Judges ordered to show more mercy on women criminals when deciding sentences. Daily Mail, 2010.]
  27. [Jung K, Shavitt S, Viswanathan M, Hilbe JM. Female hurricanes are deadlier than male hurricanes. Proc Natl Acad Sci USA. 2014 Jun 17;111(24):8782-7.]
  28. [Jung K, Shavitt S, Viswanathan M, Hilbe JM. Reply to Maley: Yes, appropriate modeling of fatality counts confirms female hurricanes are deadlier. Proc Natl Acad Sci USA. 2014 Sep 16;111(37):E3835.]
  29. [Jung K, Shavitt S, Viswanathan M, Hilbe JM. Reply to Christensen and Christensen and to Malter: Pitfalls of erroneous analyses of hurricanes names. Proc Natl Acad Sci USA. 2014 Aug 26;111(34):E3499-500.]

Lascia un commento