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Per sconfiggere il sessismo bisogna prima capirlo

“Se conosci il tuo nemico e te stesso, non hai bisogno di temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso ma non il tuo nemico, per ogni vittoria guadagnata soffrirai anche una sconfitta. Se non conosci il tuo nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.” – Sun Tzu, L’Arte della Guerra

Ho notato che molti utenti spesso travisano i nostri post e articoli pensando che giustifichino il sistema tradizionalista, o addirittura credono che siamo islamici o cristiani fondamentalisti perché analizziamo sistemi estremi come quelli dell’Arabia Saudita e dell’Afghanistan, i versi di Paolo di Tarso, la questione delle donne sacerdotesse in queste religioni e molti altri temi “tabù” visti come “esempi lampanti del maschilismo”. Niente di più lontano dalla realtà.
Il punto è che esistono una serie di idee, di principi (come la Teoria del Patriarcato), che ci fanno credere che i sistemi che hanno escluso le donne da alcune mansioni abbiano avuto origine da una concezione di dominazione maschile. Anche quando si riesce a scardinare questo concetto per gli ambiti più diffusi, persiste comunque l’idea che certe cose, certe società “estreme” come quelle mediorientali o del passato, certe concezioni islamiche e cristiane fondamentaliste, ecc. siano comunque eccezioni. Che almeno queste siano improntate sull’idea dell’uomo che domina la donna.

Ecco dunque che il motivo per cui andiamo di sistema estremo in sistema estremo ad analizzarli e vederne i perché non è per giustificarli, anzi!

Non è un dire “sì questo sistema ha ragione”, ma un dire “questo sistema funziona così perché ha una X logica e non per via di una volontà maschile di dominare le donne”.

Poi ovviamente molti motivi al giorno d’oggi non hanno più senso di esistere e li vediamo giustamente come assurdi. Ma pensare che siano assurdi non perché la nostra società sia cambiata ma perché siano una maschera per occultare la volontà di opprimere le donne equivale al proiettare i nostri valori moderni, individualisti e secolari in società del passato che avevano valori tradizionalisti, collettivisti e religiosi.

Il nostro scopo non è dunque quello di giustificare i sistemi del passato, ma di comprenderli. Perché se li comprendiamo possiamo capire su cosa si reggevano, come erano impostati i ruoli di genere nel passato e come superarli efficacemente con un’analisi più seria delle chiacchiere da bar del tipo “buh è colpa della misoginia”.

Citando Karen Straughan:

“Ho chiesto se potesse pensare a qualche ragione, oltre a “gli uomini sono privilegiati” o “per via del pene”, che spiegasse questo uso”.

Ecco quello che stiamo facendo. Stiamo cercando di capire quale altra ragione, oltre a “gli uomini sono privilegiati” o “per via del pene”, spieghi gli usi che la società moderna ha così frettolosamente voluto categorizzare come espressioni estreme di maschilismo.

“Quali erano i motivi e i bisogni collettivi che reggevano questi sistemi? Quali erano i vantaggi che davano alle donne? Quanto erano diversi i bisogni dell’epoca rispetto a quelli di adesso? Questi vantaggi che oggi ci sembrano secondari quanto erano primari in passato?”.
Questo è ciò che ci chiediamo.

E cerchiamo anche di vedere la prospettiva da un punto di vista cross-culturale, trans-culturale. Perché magari un aspetto apparentemente misogino nella nostra cultura si ritrova anche in altre a parti invertite e non ci crea il medesimo scandalo, oppure in altre culture il suo significato originario è più esplicito ed altrettanto esplicita è la comprensione di quale sia il vantaggio che le donne ricavano da un simile sistema.

Solo capendo tutto questo, comprendendo il sessismo, potremo distruggere veramente il sessismo. Se non comprendiamo un sistema come possiamo attaccarlo efficacemente? Sferreremmo soltanto colpi al buio, con tutti i rischi che ne conseguono.

L’unico Anti-Femminismo che conta è l’Anti-Ginocentrismo

Gli MRA spesso guardano con divertimento ai nuovi arrivati che si presentano dichiarando il loro sostegno agli uomini portando un curriculum che dice solo una cosa: “Sono anti-femminista”, come se fosse tutto ciò che dovremmo sapere.

Perché l’antifemminismo e l’attivismo per i diritti degli uomini (MRM o attivismo MRA) sono sinonimi, giusto? Questo è ciò che presumono… erroneamente.

Molti di coloro che presentano un simile curriculum, spesso infatti si muovono rapidamente per promuovere una tradizione ginocentrica che promuove immagini di maschi che salvino le donne da inondazioni, incendi, proiettili o le risparmino da piccoli inconvenienti nella vita – come sforzi, sporcizia, critiche o addirittura lavorare.
Le donne femminili, dicono, sono meglio preservate dai pericoli se sono casalinghe; ogni donna viene vista come un essere prezioso, come se fosse le dita di un pianista, e non deve mai essere messa a dura prova.
Gli uomini, dicono, sono eroi, nati su questa terra per sollevare cose pesanti, come direbbe Jordan Peterson, e sollevarle specificatamente per le donne fragili, e naturalmente, sempre incinte (24h su 24, 7 giorni su 7, a ogni ora del giorno e della notte per tutti gli anni a venire in saecula saeculorum).

“La vita del passato era il più vicino possibile alla perfezione”, schiumano, “era una disposizione in cui le donne femminili facevano complimenti agli uomini per i loro continui sacrifici – una disposizione di molto superiore all’approccio femminista che fa di tutto per denigrare gli uomini aspettandosi che continuino a portare avanti quegli stessi sacrifici”.

È superiore perché massaggiare l’ego di un uomo in cambio del sacrificio atteso è in qualche modo meno denigrante che dire, come fanno le femministe, “ti odiamo”. Ma questa gratitudine è davvero migliore quando entrambe le donne femministe e tradizionaliste continuano ad aspettarsi una servitù maschile? Quando entrambi riducono gli uomini al ruolo di “fai le cose per me”?

Questa è l’essenza dell’accordo: un piccolo accarezzamento dell’ego in cambio di un uomo che si auto-distrugge.
Lei gonfia il suo ego come un pallone ad elio, almeno nell’area del salvataggio, del servirla e del porla su un piedistallo, e lui firma per impegnarsi in un’abbuffata di sacrifici autodistruttivi e in una morte precoce.

Potremmo immaginare il complimento eseguito dalla donna tradizionalista in cambio del sacrificio maschile come il discorso di una candidata a Miss Mondo che parla di portare la pace nel mondo mentre osserva cadaveri e cadaveri che si accumulano attorno a lei.

Questa sembra essere la tradizione ginocentrica che la maggior parte degli anti-femministi spacciano, quella che sostituiranno al posto dei modelli femministi.

Alcuni lettori potrebbero protestare che dovremmo essere grati nei confronti di coloro che si affrettano a distruggere il ginocentrismo progressista (femminismo) per sostituirlo con il ginocentrismo tradizionalista.
Ma in realtà, se ci pensiamo, questa sostituzione equivale al passare dalla padella alla brace.
Tutto deve cambiare perché nulla cambi, direbbe il Gattopardo.

Il punto è che l’anti-ginocentrismo è l’unico anti-femminismo che conta.
Dal punto di vista anti-ginocentrico, uomini e donne tradizionalisti non sono liberatori degli uomini, sono ginocentristi non-femministi.

Confrontiamo adesso il ginocentrismo tradizionalista come descritto sopra con il pensiero di quelle donne che non sono né femministe né ginecentriche tradizionaliste; donne come Janice Fiamengo, Suzanne McCarley, Elizabeth Hobson, Alison Tieman, Hanna Wallen e innumerevoli altre persone che mettono in discussione i privilegi sbilanciati delle donne tradizionali quanto i privilegi delle femministe. La differenza di prospettiva tra questi due tipi di donne non potrebbe essere più netta.

Il resto purtroppo sono truffe, si tratta di donne tradizionaliste che si mascherano come alleate mentre invitano gli uomini ad adottare una truffa al servizio delle donne con l’esca di un camice degli anni ’50 e uno sguardo pudico.
Si tratta di donne che ancora non sono disposte a rispondere con gesti o sforzi reciproci a quelli degli uomini.
Le donne tradizionaliste non vogliono addossarsi gli stress della vita, che delegano tranquillamente agli uomini.

Quando le donne ginocentriche tradizionaliste vengono intervistate dai media, elogiano sempre l’utilità della “mascolinità” e degli “uomini veri”, che salvano le donne dagli incendi domestici.
In questi casi non si può fare a meno di notare l’assenza di discussioni su cosa diano in cambio agli uomini, come se ciò non fosse un problema rilevante.

Forse ringraziare, lodare, apprezzare, è una forma di rispetto per gli uomini, ma rispetto per cosa?
Sembra il rispetto di un narcisista, ovvero di quel tipo di persona che “rispetta” gli altri come cibo per soddisfare la propria ghiottoneria impersonale ad avere un trattamento preferenziale.

Forse potrei essere più generoso e dire che, piuttosto che cercare di schiavizzare gli uomini, i ginocentristi non-femministi sono semplicemente indietro con i tempi, credendo che stiano sostenendo il minore degli unici due mali offerti. Lo vedono come il minore dei due mali perché, sotto il ginocentrismo tradizionalista, gli uomini ricevevano almeno dei complimenti per il loro lavoro e ricevevano medaglie dopo la loro morte – una cosa negata sotto la visione femminista che vede uomini e donne come concorrenti per il territorio narcisisticico in cui solo le donne ricevono complimenti.
Non gli uomini, ma solo le donne sono le “stupende e coraggiose”.

Purtroppo (o per fortuna?), il contratto sociale tradizionalista in base al quale quella situazione funzionava, quello che limitava le opzioni di uomini e donne a favore di ruoli ristretti, non può più funzionare in una cultura che rifiuta di incoraggiare e sostenere lo stesso contratto sociale. Un’ondata dopo l’altra di attività femminista ha completamente spremuto il dentifricio dal tubo.
Le donne non torneranno mai più al “ruolo” delle mogli sforna-bambini che cucinano una torta di mele, perché ogni tentativo di ridurre la vita “multi-opzione” delle donne verrà accolto con risentimento, se non interpretato come un abuso. Pertanto, qualsiasi tentativo di attuare quel ruolo tradizionale oggi equivarrà a poco più di un cosplay.

Scambiare il ginocentrismo progressista con il ginocentrismo tradizionalista non ci sta portando da nessuna parte.
Non solo non possiamo più riportare indietro le lancette dell’orologio sulla “Liberazione delle Donne”, ma dovremmo anche smettere di ignorare il fatto che la Liberazione degli Uomini dovrà avere luogo: gli uomini non hanno più bisogno di essere legati al ruolo tradizionalista di salvatori delle donne, di He-for-She, di Lui-per-Lei.

Prima di concludere questo articolo, voglio tornare alla domanda su quale sia, in ogni caso, il valore dell’anti-femminismo per il Movimento per i Diritti degli Uomini.
In merito a ciò, mi vengono in mente due delle risposte più ovvie.

In primo luogo, il lavoro antifemminista si oppone agli sforzi per creare più richieste He-For-She (Lui-Per-Lei), ad es. la presunta responsabilità degli uomini di fermare la violenza domestica; la responsabilità degli uomini di affrontare il “divario salariale”; la pressione nei confronti degli uomini di aiutare a promuovere politiche di azione affermativa; di fare più lavori domestici (senza corrispettivo femminile a mantenere maggiormente a livello economico); relativamente all’occupare troppo spazio femminile sui trasporti pubblici o al non aver impostato l’aria condizionata dell’ufficio alla temperatura desiderata dalle donne. Queste e molte altre liste “il patrarcato fa” equivalgono a poco più di un fastidio collettivo femminile, che gli anti-femministi stanno aiutando a controbattere nell’ambito pubblico.

In secondo luogo, gli anti-femministi combattono la diffusa censura delle questioni maschili da parte delle femministe. Il problema della de-formattazione e della censura guidate dalle femminista fu persino evidente ai tempi di Ernest Belfort Bax, che descrisse nell’anno 1913:
“[Le femministe] cercano di fermare la diffusione della spiacevole verità così pericolosa per la loro causa. La pressione esercitata sugli editori e sui redattori dall’influente sorellanza femminista è ben nota.”
In risposta vi sono sempre state persone interne al movimento MRA che si sono opposte e continuano ad opporsi alla censura guidata dalle femministe sulle questioni maschili, e ad ogni altro tipo di censura delle stesse anche da parte di altre parti, e questo tipo di azione deve continuare con tutta forza.

D’altra parte, mettendo queste due preoccupazioni nel contesto, respingere le rivendicazioni femministe sugli uomini e la censura femminista non sono mai stati gli unici obiettivi del movimento MRA, nonostante le femministe se la raccontino dicendo che l’MRM sia sinonimo di “backlash antifemminista”.
Suggerire l’equivalenza è confondere i movimenti puramente antifemministi con il ventaglio molto più ampio del Movimento per i Diritti Umani degli Uomini.

Un sondaggio degli ultimi 100 anni rivela che l’MRM si preoccupa più direttamente di problemi che incidono su uomini e ragazzi come alimenti, mutilazioni genitali di neonati maschi, senzatetto, malattie mentali, false accuse, pregiudizi dei tribunali familiari, suicidio, custodia dei figli, basso finanziamento per problemi di salute maschile, discriminazione legale, rendimento scolastico e misandria nella cultura mainstream solo per citarne alcuni.

E altrettanto importante, un problema urgente oggi è la promozione di più scelte di vita per gli uomini: è tempo che gli uomini abbraccino qualsiasi opzione esista al di là del ruolo strettamente prescritto di servire le donne – proprio come le donne da tempo hanno rigettato ruoli ristretti e responsabilità nei confronti degli uomini.

Il tempo dell’uomo multi-opzione è giunto.

Tradotto e adattato da:
https://gynocentrism.com/2019/12/01/anti-gynocentrism-is-the-only-anti-feminism-that-matters/?fbclid=IwAR0MafMKj1j5gVfjM2rMrnahOOHPCbrGBhKZ5PvgJo7Dh8PTtLcdPd-N1tc

Vagoni per sole donne: la misandria come il razzismo?

Scena del film “Il buio oltre la siepe”, dove Tom Robinson, un bracciante di colore, viene trascinato in tribunale per via di una falsa accusa di stupro. Quest’opera evidenzia come il razzismo si reggesse sul pregiudizio sulla pericolosità dei neri, al pari di come la misandria si regge e si è sempre retta sul pregiudizio sulla pericolosità degli uomini.

Ho letto recentemente una (banale) argomentazione del perché i vagoni per sole donne sarebbero giusti. In sintesi parlava del fatto che certi uomini “lo appoggiano”, chiedendo all’interlocutore: “come ti sentiresti se te lo appoggiassero su una spalla o sulla schiena?”

Esatto, come mi sentirei? E perché devo cambiare genere per parlarne? Perché io, da uomo, come mi sentirei? E quali sono a questo punto le tutele che tu, promotore della segregazione solo da una parte (vagoni solo per donne senza corrispettivi solo per uomini) proponi per tutelare me da simili eventi?
Perché anche a me può capitare, e anche a me darebbe fastidio, quindi chi protegge me?
Presupponendo che siano solo uomini a farlo (e non è così, ma poi ci arriviamo), io da uomo come faccio a essere tutelato da una simile evenienza?
Anzi, se fosse solo maschile, un vagone solo per donne senza uno solo per uomini farebbe diminuire a me, uomo, lo spazio totale disponibile dove scappare da una simile evenienza. Perché mettiamo che abbiamo 2 vagoni, uno per tutti e uno solo per donne: se il molestatore mi colpisce nel vagone per tutti, non posso scappare in quello per donne, e così io resto lì a subire la molestia.
Se invece ho 3 parti, una per tutti, una per uomini e una per donne, se il molestatore mi colpisce in quello per uomini scappo in quello per tutti e viceversa.
Ho quindi una via di uscita al pari delle donne.
Senza non ho alcuna via di uscita mentre le donne sì.
E’ questa la giustizia?

Ma poi io, se non ho fatto niente, perché mi devo vedere lo spazio ristretto ogni volta? Perché nelle ore di punta devo stare stretto e le donne no?
Perché ok che ci sono “situazioni di emergenza” come quella della molestia, ma sono rare, e anche se fossero frequenti, vogliamo forse negare che per molestare qualcuno un minimo di tempo ci voglia, e che le fermate in cui nessuno viene molestato da nessuno superino di molto quelle in cui qualcuno viene molestato?
E se in queste situazioni di emergenza il restringimento dello spazio può essere accettato, come mai mi si deve restringere lo spazio in situazioni non di emergenza?
Allora che cosa mi si dà in cambio di questa restrizione unidirezionale?
Dato che io pago per uno spazio, e pago quanto le donne, pretendo allora di pagare un biglietto o abbonamento con prezzo minore, o di avere almeno un servizio in più.
Stesso servizio stesso prezzo, servizio minore prezzo minore.

Inoltre, questa è una forma di criminalizzazione del genere maschile, perché le colpe di una persona ricadono sugli individui appartenenti alla stessa categoria.
E’ una forma di pensiero collettivista, dove l’individuo non esiste.
Non siamo quindi individui che hanno tot caratteristiche, no. Siamo categorie, manifestazioni della categoria.
Che io e una persona che ha commesso un crimine possiamo essere individui diversi e quindi trattati diversamente è fuori discussione, è fuori dalla grazia divina, perché apparteniamo alla stessa categoria.
Anche se io non ho commesso alcun crimine, vengo giudicato per qualcosa che potrei fare. E perché non anche una donna?
Perché io condivido il medesimo sesso dell’uomo sconosciuto che ha molestato in passato una donna sconosciuta.
Quindi non sono un individuo, no? Sono “il maschio”, mente collettiva che si manifesta in forma individuale. L’individualità è quindi illusoria.
La costituzione e la legge dicono che la colpa è individuale e che non si può condannare qualcuno “in anticipo”, prima che abbia commesso il fatto, ma è esattamente ciò che sta accadendo.
Non ho fatto niente ma vengo trattato da criminale.
Come si può allora negare che questa sia una criminalizzazione, se mi si tratta da criminale?

In aggiunta, se vogliamo fare il gioco delle categorie, allora facciamolo. Perché non facciamo uno spazio “solo per bianchi”? “Ah ma quello è un altro discorso”, dirà qualcuno, “era per il colore della pelle, qui è per la sicurezza”.
Questa obiezione è pura ignoranza. Basta leggere (o vedere il film de) “Il buio oltre la siepe”, che descrive il PERCHE’ i neri erano trattati come cittadini di seconda classe.
Perché visti come PERICOLOSI a prescindere, per la loro pelle.
Esattamente come pericolosi a prescindere, per il loro sesso, sono visti gli uomini.
Nella storia Tom Robinson, un bracciante nero, viene ingiustamente accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca.
Esatto, QUESTO è il motivo per cui i neri venivano esclusi, segregati, ed è LO STESSO IDENTICO MOTIVO per cui vogliamo fare la stessa cosa agli uomini.
Cosa li differenzia? Nulla.
Perché non lo facciamo più? Perché è diventato scomodo farlo, ma se non fosse redarguito socialmente lo faremmo ancora, statene sicuri.
Perché ancora distinguiamo per categorie le persone “sicure” e quelle “pericolose”.
Non distinguiamo gli individui – per carità, quello è più che legittimo – ma le categorie, i gruppi, le classi di individui, e non gli individui stessi.
Nuovamente, pensiero collettivista vs pensiero individualista.

Ma non è neanche un pensiero solo collettivista, perché esistono tanti ambiti dove le donne sono a maggioranza autrici di crimini, pensiamo al fatto che sono il 90% delle “sexual misconduct” nei carceri minorili.

[Beck AJ, Cantor D, Hartge J, Smith T. Sexual victimization in juvenile facilities reported by youth. Bureau of Justice Statistics, 2012.]

E sono la maggioranza degli autori di violenza fisica sui bambini.
Perciò perché, per coerenza, non escludiamo le donne dal contatto con i bambini e con gli adolescenti in carcere?
Un bel cartellone con una donna sbarrata e scritto sotto “non fare la pervertita con gli adolescenti e tieni le mani a posto con i bambini, vai via!”?
Ovviamente non lo faremmo mai. Non ci passa nemmeno per la testa.
Però per gli uomini questo va benissimo, eh.
Certo, perché si sposa benissimo con la sacrificabilità maschile e con il “women are wonderful effect” (effetto “le donne sono meravigliose”), oltre che con la narrazione dell’uomo sempre carnefice e della donna sempre vittima.

Infine, tornando ai vagoni, se creiamo un vagone solo per donne mandiamo il messaggio che un uomo vittima di molestia da una donna non verrà creduto. Non gli creiamo sicurezza, non passiamo il messaggio che possa esprimere il suo disagio, comunicarlo e denunciarlo.
Questo a sua volta diminuisce il numero di denunce totale e crea un sommerso enorme di underreporting maschile.
Questa maggioranza femminile nelle denunce spinge a fare ulteriori azioni solo per donne e non anche per uomini (in primis un vagone solo per donne e zero vagoni solo per uomini, ma anche zero incoraggiamenti a denunciare e zero sensibilizzazione), il che peggiora l’under-reporting.
E’ un cane che si morde la coda.
Quindi mi chiedo, quali misure si intraprendono per incentivare la denuncia maschile e creare un clima di sicurezza per le vittime maschili di molestia, se l’ambiente invece è permeato di criminalizzazione dell’uomo?
E quanto attendibile può essere un dato tratto da un ambiente simile? Quanto può essere una prova e quanto invece carta straccia?
Un uomo vittima di molestia da parte di una donna come può essere creduto se basta che lei, in un simile clima antiuomo, dica che è stato lui a molestarla anche quando è viceversa?
Che passi si stanno facendo per avere un ambiente privo di bias che incentivi la denuncia anche maschile, per poter prendere i dati delle denunce come prova dell’effettiva percentuale maschile rispetto a quella femminile?
Perché sappiamo che esiste una cosa detta euristica della disponibilità che ci spinge a vedere come più frequente qualcosa che ci viene ripetuto più spesso, che ci torna più facilmente alla memoria.
Quanto il ripetere incessantemente il mantra della sensibilizzazione sulla violenza solo da una parte ci porta a falsare le vere percentuali dall’altra parte, degli uomini?
E se si pensa che “non sia possibile” a priori, perché si adduce a motivi biologici più che sociali una percentuale maggiormente maschile (nonostante gli studi la smentiscano a più riprese, ad esempio https://www.scientificamerican.com/article/sexual-victimization-by-women-is-more-common-than-previously-known/ ), perché limitarsi a proporre una soluzione momentanea? Se si pensa che le percentuali saranno a prescindere sempre maggiormente uomo-su-donna che donna-su-uomo, allora perché non sterminarci direttamente? Se siamo un problema, e questo problema non può essere risolto, allora andiamo distrutti.
O forse, magari, sei solo te che supporti questi pensieri che sei un/a pezzo di me**a che fomenti odio.

No ai vagoni solo per donne, no ai posti solo per donne, no ai “safe space” solo per donne, salvo in presenza anche di vagoni solo per uomini, posti solo per uomini e “safe space” solo per uomini.
I diritti che non sono di tutti non sono diritti, sono privilegi.

Perchè “What about the Menz” è un’obiezione sensata

Si può discutere dei modi più o meno tranchant, ma gli MRA hanno ragione quando dicono “what about the men?”, ci sta poco da prendere in giro.

Se a Firenze addobbano un albero di Natale con scarpe rosse contro la violenza sulle donne, l’osservazione che andrebbe fatto lo stesso per la violenza sugli uomini è più che legittima. Oppure che bisognerebbe fare iniziative contro la violenza e basta.

Dire “eh ma qui certi commenti sono inappropriati, createvi i vostri spazi” è disonesto e ipocrita, primo perché le chance di visibilità sono limitate e quindi non c’è nulla di male a sfruttare quelle che ci sono, e secondo, perché i nostri spazi li volete solo per poi ghettizzarli, mica per accettarne le idee. Se davvero ci teneste alle nostre questioni, se davvero il problema fosse solo che “qui ed ora è inappropriato“, allora in un secondo momento passereste a sostenerci e ci dareste una mano per fare informazione e sensibilizzazione, cosa che non avviene.

Perché l’overlap tra chi fa questi discorsi e chi ha veramente a cuore le questioni maschili è ZERO. Quindi chi volete fare fessi? Le vostre sono tutte scuse per evitare che si diffonda consapevolezza.

In realtà voi gongolate per il fatto che gli unici spazi di cui alla gente freghi qualcosa siano i vostri, e sapete benissimo che il vostro “non qui” si traduce, nei fatti, in un “nel vostro angolino in penombra”.
Anzi, proprio in un “da nessuna parte”. Perché neanche in un ghetto si sta tranquilli, perché pure là volete che ci occupiamo di tematiche vostre.

Pretendete che Antisessismo faccia 50 e 50 nel parlare di questioni maschili e femminili, quando voi che avete molta più reach siete i primi a rifiutarvi di farlo. Sono 170 anni che vi rifiutate di farlo. E addirittura ci cacciate quando nei vostri spazi l’altro 50% proviamo a mettercelo noi.

Perciò non lamentatevi se su questa pagina abbiamo deciso di trattare solo di, cito testualmente, “argomenti minoritari, fuori dal mainstream, che la gente ignora, odia o di cui non vuole sentire parlare”. Non lamentatevi se esistono gli MRA. Non lamentatevi se sempre più persone si definiscono antisessiste anziché femministe. Abbiate la decenza di tacere.

[H.]

La Grande Menzogna del Femminismo: il 2° volume!

Intervista a Santiago Gascó Altaba, l’autore dell’opera “La grande menzogna del femminismo”. In uscita a dicembre il II Volume (e ultimo)
https://www.persianieditore.com/lingannevole-realta-del-femminismo/

1. Nella nostra prima e seconda intervista di qualche mese fa, in concomitanza con l’uscita del I Volume dell’opera “La grande menzogna del femminismo” (visionabili qui e qui), sono stati chiariti i due punti portanti della struttura di questo lavoro: la definizione del termine femminismo, punto di partenza dell’analisi, e i quattro dogmi fondamentali femministi che sono vagliati lungo tutta l’opera. Cosa aggiunge questo II Volume?

Effettivamente, come era già stato detto, soltanto l’individuamento del significato esatto delle parole permette un dialogo, e nelle dispute tra femministi e non femministi trovo spesso che questo sia, ancor prima d’iniziare, l’ostacolo insormontabile. È pressoché impossibile avviare un dialogo se l’interlocutore continua a definire femminismo con la parola “parità”, malgrado la caparbia realtà dimostri quotidianamente il contrario. Dunque, prima di tutto era necessario trovare una definizione precisa e più ampiamente condivisa. Stabilito questo punto di partenza, sono stati enunciati i quattro dogmi femministi, sottoposti a disamina lungo tutta l’opera.
Se nel I Volume sono state gettate le fondamenta, nel II Volume è stato edificato il tetto, sono state espresse le conclusioni. La struttura di mezzo tra le fondamenta e il tetto sono i quattro dogmi vagliati, il primo nel I Volume, il secondo, il terzo e il quarto nel II Volume.

2. Il vaglio dei dogmi avrebbe portato alle conclusioni. Possiamo essere indiscreti e chiedere, iniziando dalla fine, quali sono le conclusioni?

La tesi dell’opera era stata accennata nell’introduzione: “il femminismo è razzismo applicato al sesso”. Il vaglio dei dogmi e le conclusioni hanno confermato la tesi.
Il mio giudizio è molto duro, definisco il femminismo senza mezzi termini “un’ideologia criminale”, una posizione simile a quella dello slogan “feminism is cancer”, che però non tutti si disturbano di argomentare.

3. Potrebbe sembrare un giudizio troppo severo, forse esagerato…

Di sicuro è un giudizio minoritario, non condiviso dalla maggior parte dei contestatori dell’attuale femminismo, alcuni ex-femministi. Penso a Warren Farrell, Christina Hoff-Sommers, Agustín Laje, Élisabeth Badinter, ecc. Anche molti youtuber che contestano il femminismo (in spagnolo e in inglese) tendono a fare una netta distinzione tra l’attuale femminismo e quello delle suffragette. Secondo loro sarebbe esistito un femminismo buono e giusto, quello della prima ondata, mentre quello attuale, cattivo, sarebbe il risultato di una deviazione infelice. In altre parole, la dottrina femminista in sé sarebbe equa e rispettabile, la sua applicazione durante la seconda e terza ondata scorretta.
Non sono d’accordo. Il mio giudizio, come quello di Karen Straughan, è negativo e riguarda tutta l’ideologia e il movimento femminista complessivamente. Non è esistito un femminismo buono della prima ondata e le obiezioni che mi vengono in mente sono due:

a) Durante ogni epoca (od ondata femminista) è esistita un’opposizione al femminismo, e molti uomini e associazioni maschili hanno lamentato nei confronti del femminismo le stesse identiche problematiche; valgano come semplice esempio durante la prima ondata femminista gli scritti del socialista Ernest Belfort Bax. Risulta dunque incoerente (o ipocrita) arrogarsi la ragione della propria obiezione nel periodo nel quale si vive, ora nella terza ondata, e disprezzare le simili obiezioni sollevate in tempi passati. In pratica oggi l’opposizione al femminismo non ci renderebbe maschilisti perché avremmo ragione, mentre invece l’opposizione dei nostri antenati, uomini e donne, con argomenti e problematiche simili, avrebbe reso loro dei maschilisti che avevano torto.

b) I dogmi del femminismo (uomo-carnefice, donna-vittima) sono rimasti inalterati nel tempo, è inalterata è rimasta l’applicazione di questi dogmi. Dalla dichiarazione di Seneca Falls (1848) in poi è sempre prevalso lo stesso spirito suprematista femminista, il rimprovero e la discriminazione all’uomo, la visione di conflitto e guerra tra i sessi. Valga come esempio, durante le campagne contro lo sfruttamento sessuale dei minori alla fine dell’Ottocento, il rifiuto delle associazioni femministe ad accogliere tra le vittime da tutelare anche i minori di sesso maschile (qualche somiglianza rispetto a quanto avviene attualmente per le vittime di violenza di genere?)

4. Comunque il giudizio rimane intransigente: come abbozzeresti una difesa dell’affermazione “feminism is cancer”?

“Feminism is cancer” è uno slogan d’effetto, preferisco definire il femminismo come un’ideologia criminale. Per giustificare il mio giudizio così tranchant ci sono due strade. In modo semplice e molto scorrettamente, i due argomenti potrebbero essere associati per analogia ai due procedimenti che ci permettono di arrivare alla conoscenza, il metodo deduttivo, dall’universale al particolare, e il metodo induttivo, dal particolare all’universale. Il primo argomento è molto semplice, quasi infantile, il secondo è più complesso e richiede molto più tempo.

5. D’accordo, iniziamo per quello più semplice. Come si sostiene un giudizio così tranchant sul femminismo?

Noi formiamo parte dell’Umanità. Di fatto i diritti fondamentali sono stati definiti “diritti umani”. Tutte le ideologie che spezzano questo concetto di Umanità, che dividono l’umanità in categorie o gruppi, e distribuiscono diritti e doveri differenziati in base a giudizi collettivi che stabiliscono status di privilegiati o di vittime per questi gruppi o categorie, sono ideologie criminali. L’ideologia femminista spezza questo concetto di universalità.
Non esistono i “diritti delle donne”, i “diritti degli ariani” o i “diritti dei bianchi”, esistono solo i “diritti umani”. Se si concedono diritti specifici, che non si concedono agli altri gruppi, non sono diritti, sono privilegi: i “privilegi delle donne”. Ad esempio, il diritto di disconoscere un figlio o di non essere coscritta in tempo di guerra, diritti che possono vantare tutte le donne, non sono diritti, sono privilegi. Se ci sono collettivi discriminati, non necessitano diritti specifici, a loro mancano diritti umani.
Nell’art. 21 la Carta dei diritti dell’UE elenca 16 diversi connotati sui quali non si può fondare la discriminazione, uno di loro è il sesso. Non si capisce perché questo connotato debba prevalere sul resto, e possano esistere specifici “diritti per le donne” e non specifici diritti per gli idraulici, per gli indoeuropei, per i rom, per gli socialisti, per gli italoparlanti, per la promozione del 1975, per gli interisti, e così via.
I diritti e i doveri non possono essere spezzettati a seconda delle categorie sociali, ogni essere umano merita lo stesso identico trattamento, concetto basilare, limpido e semplice. Ci è voluta una micidiale Guerra Mondiale per espellere più o meno definitivamente il concetto del diverso trattamento se riferito al connotato di etnia o razza, perché è così difficile applicare lo stesso ragionamento se riferito al connotato di sesso?

6. Sembra un argomento impeccabile, tranne forse per quanto riguarda la maternità, cioè gravidanze e parti.

Effettivamente, ci sono certe differenze anatomiche da valutare, e poi ci sono le gravidanze. L’argomento è complesso, deve essere certamente approfondito e rimanda a studi sociologici, filosofici, storici… se le donne sono diverse, e meritano un trattamento differenziato, era giusto allora il cosiddetto “patriarcato” (come lo chiamano le femministe, ma in realtà meglio definito con il nome di “tradizionalismo”) che trattava diversamente le donne in base a queste differenze? Senza voler aprire un dibattito, impossibile in questa sede, segnalo che il femminismo ha esplicitamente sostenuto che le gravidanze non impediscono le donne di fare qualsiasi cosa, qualsiasi mestiere, alla pari dell’uomo. Gravidanze e mestruazioni sarebbero solo argomenti usati dagli uomini maschilisti contro le donne. In base a questa corrente di pensiero femminista l’argomento sarebbe già chiuso: uomini e donne devono essere trattati parimenti. Punto finale.

7. Come si giustifica secondo l’argomentazione più lunga?

Si va dal particolare all’universale. Bisogna vagliare la fondatezza di ogni asserzione femminista. Si parte dalle più specifiche, risalendo progressivamente fino ad arrivare ai quattro dogmi fondamentali femministi previamente segnalati. Se questi dogmi si dimostrano falsi e, in più, recano danno, vuol dire che siamo di fronte ad un’ideologia criminale. L’intera opera si dedica a vagliare molte di queste asserzioni specifiche, di ogni sorta e tipo: Adamo ed Eva, Pandora, morti sul lavoro, i morti della violenza, l’iconografia, il sessismo del linguaggio, le fiabe sessiste, la cinematografia sessista, la discriminazione negli studi, il ruolo del cosiddetto “patriarcato” nelle invenzioni dell’umanità… Gli argomenti sono svariati perché, come era stato spiegato nella nostra prima intervista, il Patriarcato è “tutto”, le asserzioni femministe riguardano “tutto”, dunque sono stato costretto a confrontarmi con “tutto”.

8. Possiamo avere un paio di esempi del vaglio di asserzioni specifiche?

Certo. Sono piccole verità ormai radicate in molti di noi, che raramente vengono contestate.

Sessismo del linguaggio. Una delle denunce femministe è l’esistenza di termini denigratori del femminile, parolacce ad hoc che esisterebbero solo a danno di loro.
Controargomento: elencare parole e parolacce esclusive a danno del maschile.

Storia. Le donne non proclamano né combattono le guerre. Le guerre sono combattute e proclamate solo dagli uomini. Pensiero molto diffuso. C’è una trasmissione TV in Youtube dove il celebre cineasta Michael Moore afferma questo pensiero e nessuno tra tutti gli ospiti (nemmeno Christina Hoff-Sommers che era presente tra gli invitati) lo contraddisse. Qualche anno fa sono andato a una conferenza sul femminismo dove la relatrice ha espresso pacificamente lo stesso pensiero.
Controargomento: un lungo elenco di guerre combattute dalle donne (regnanti) e persino di quelle solo e soltanto tra donne (regnanti).

9. In che modo queste asserzioni specifiche contribuiscono a rendere il femminismo “un’ideologia criminale”?

Innanzitutto queste asserzioni sono false. In entrambi i casi dipingono falsamente un intero collettivo, le donne, come vittima.
Inoltre, nel primo esempio sul sessismo del linguaggio si nega all’uomo la possibilità di essere anche lui vittima. È evidente che se tutti sono vittime, non è una questione di genere.
In aggiunta, nel secondo esempio sulle guerre l’asserzione femminista nasconde un pensiero terrificante suprematista: le donne sono esseri di luce, non combattono le guerre, non fanno del male, in altre parole, solo gli uomini sono esseri sciagurati che provocano guerre e distruzione (qualche similitudine tra questo pensiero e pensieri simili di altre ideologie che hanno diviso l’umanità in collettivi?).

10. Infine, possiamo aver un esempio del modo nel quale sono stati vagliati i quattro dogmi?

Primo dogma, in breve: la donna è la vittima della Storia.

Per vagliare questa affermazione ho deciso di indagare sulle tre attività umane che provocano maggiore sofferenza e morte, cioè le guerre, il lavoro (forzato) e il mondo della giustizia (nel suo aspetto punitivo). A questi ho aggiunto i riti di iniziazione, una riproduzione in miniatura del mondo degli adulti. I dati, i numeri, le cifre sono inappellabili, c’è una netta asimmetria a danno degli uomini. La vittima fisica della Storia è senza possibilità di controversia l’uomo. Dopodiché ho voluto vagliare la vittima psicologica della Storia. In questo caso le cose sono più complicate perché non esistono dati obiettivi, tutto dipende dalla soggettività tanto del soggetto quanto dell’osservatore. In qualsiasi caso ho vagliato le principali segnalazioni femministe e le ho capovolte, a dimostrazione che ogni lettura in questo campo può essere capovolta.
Esempio: il femminismo ha denunciato l’iconografia religiosa “patriarcale” che, mediante la visione maschile, determina il carattere delle donne. Ma queste studiose si dimenticano sorprendentemente di segnalare che l’immagine iconografica più rappresentata nella storia di Occidente e del Cristianesimo è un uomo crocifisso, cioè brutalmente torturato a morte.

Finisco con una riflessione. Quando decisi di vagliare questo dogma cercando di individuare la vittima della Storia, i primi libri che scelsi da leggere furono quelli sulla Storia della Tortura. Ai miei occhi, la tortura è l’attività umana più intollerabile, portatrice di una sofferenza inumana e inenarrabile. Naturalmente da questi libri si desumeva una netta asimmetria a danno dell’uomo, tanto per la quantità come per la qualità delle torture. Perché menziono questo aneddoto? Quando lessi “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir, la “Bibbia del femminismo”, 800 pagine di denuncia sulla sofferenza storica delle donne, fui altamente sorpreso dal fatto che alla tortura non fosse dedicata alcuna attenzione (e per estensione a tutta la sofferenza fisica, tranne che per le automortificazioni corporali religiose alle quali Simone de Beauvoir, sbagliando, assegnava una preponderanza femminile). Sono 800 pagine di eterno femminino, di violenza non fisica, di violenza psicologica, cioè soggettiva. L’opera di Simone de Beauvoir fu pubblicata nel 1949. Quest’opera nasce durante e subito dopo un conflitto armato che produsse milioni di vittime perlopiù maschili, sacrificati al posto di lei e di tutte le donne, bambini e altri civili. Nessun commento. 800 pagine di rimproveri all’universo maschile. Simone de Beauvoir visse sana e salva a casa sua due Guerre Mondiali che annientarono milioni di giovani maschi sacrificati. Nessun commento. 800 pagine di accuse al “patriarcato”.

La tortura, accertata l’evidente asimmetria a danno degli uomini, non è un problema femminile. Nessun commento.
Questo è il modo di ragionare di Simone de Beauvoir e di qualsiasi femminista media. Questo è il modo di “fotografare” la realtà, di costruire la narrazione storica femminista. Una visione del mondo pericolosa, tendenziosa, parziale, falsa. Un’ideologia criminale.

11. Grazie per aver risposto al nostro invito.

Anche le donne stuprano. Ecco come

Molti tradizionalisti accusano il femminismo di aver “mascolinizzato le donne e femminilizzato gli uomini”. In realtà, vedendo gli articoli delle femministe, sembra proprio che non sia così, infatti l’uomo non è stato femminilizzato affatto: non è protetto né tutelato come le donne, non esistono campagne in difesa degli uomini vittime di violenza, e i ruoli di un tempo sono stati superati solo per le donne, ma non per gli uomini. Le donne possono scegliere tra lavorare e stare a casa, ma gli uomini ancora non possono stare a casa e sono ancora obbligati dalle norme sociali a lavorare. Similmente, nell’ambito della violenza, le donne possono essere considerate indipendenti, “strong and independent women” che non hanno bisogno dell’aiuto degli uomini, ma al tempo stesso nessuno nega loro l’aiuto in caso di violenza subita. Agli uomini, al contrario, viene negato ogni aiuto se vittime di violenza domestica o sessuale. E’ quindi evidente come l’uomo non sia mai stato femminilizzato, e anzi, l’avrei nettamente sperato. Au contraire, la donna può assumere ogni ruolo, maschile e femminile, mentre l’uomo non è stato liberato e ancora è limitato al suo ruolo di genere maschile (un esempio lampante è il numero quasi nullo di casalinghi e la preponderanza degli uomini tra i suicidi per motivi economici e senzatetto, fenomeni questi che non sarebbero a maggioranza maschile se gli uomini potessero rimanere a casa in caso di mancanza di lavoro).

L’articolo che vedremo oggi, nello specifico, è un articolo femminista che riprende proprio le classiche tesi tradizionaliste contro la possibilità degli uomini vittime di stupro: la forza fisica, la pericolosità del girare per strada (specialmente vicoletti bui) solo per le donne, e l’erezione.
Questo stesso modo di pensare è così identico al tradizionalismo (che il femminismo erroneamente chiama “maschilismo”, quando un sistema che opprime gli uomini quanto le donne non ha senso che venga chiamato così) che mostra quanto sia evidente che il femminismo è l’erede del tradizionalismo: ha liberato le donne dai loro ruoli ma mantenendo gli uomini nei loro. Ha tolto gli svantaggi per le donne, ma per gli uomini è semplicemente un’altra forma di tradizionalismo.

Il collegamento con il tradizionalismo è che non è nemmeno necessario parlare di patriarcato (tipico costrutto femminista) per far pensare il lettore che lo stupro sia a maggioranza maschile; addirittura il patriarcato sembra diventare una conseguenza della maggiore forza maschile, vista come quella che “sottomette le donne”. Il femminismo quindi costruisce il suo costrutto identitario (la teoria del patriarcato) sopra l’essenzialismo di genere, sopra al determinismo biologico di origine tradizionalista.

Leggiamo infatti in “Può esistere lo stupro di una donna su un uomo?” del blog femminista Abbatto i Muri:

“Prende di mira un uomo di un metro e ottanta (anche di un metro e settanta se volete) come minimo e poi cosa fa? Lo insegue? […] Lui dice no e lei che fa? Come lo immobilizza e lo trascina in un luogo non frequentato?”

Come è evidente, qui si fa riferimento alla forza fisica in maniera essenzialista, come se fosse l’elemento cardine per permettere una violenza. L’aspetto psicologico della persona non esiste. Eppure sappiamo tutti che esistono persone anche molto alte, molto forzute, che non farebbero del male a nessuno, e persone basse o con poca forza che possono fare molto, molto male.
Noi rifiutiamo l’idea che la forza fisica sia l’origine della violenza, anche perché noi umani come specie dominiamo il pianeta, e non siamo assolutamente la specie più forzuta del mondo. Esistono maniere tramite cui questa piccola creatura che è l’essere umano ha potuto sovrastare bestie feroci molto più grandi e forti di lui. In che modo? Tramite gli oggetti, tramite armi proprie ed improprie, e tramite la dominazione. La dominazione non è una questione di forza, ma di volontà di predominio.

Poco ci puoi fare con la forza fisica se non sai usarla, se non hai sangue freddo, se sei scoordinato, se non sai rispondere in maniera immediata o se hai il “difetto” di considerare i tuoi aggressori come esseri umani nel momento in cui devi reagire.
Moltissimo dipende dalla forza psicologica, che è una caratteristica individuale e non di genere.

Sebbene sia vero che le donne hanno più paura degli uomini delle aggressioni, questo riguarda il pericolo potenziale. Quando il pericolo diventa effettivo, la reazione, comune a entrambi, è di freezing.
Come fai a sapere se avrai o no una reazione di freezing nel momento in cui ti puntano contro una lama?
A maggior ragione considerando che il freezing non sembra essere un’eccezione, ma la norma: nei casi di stupro sugli uomini addirittura l’87% non resiste all’attacco perché congelato dalla paura e dallo shock. Persino l’aver svolto un qualsiasi tipo di allenamento al combattimento o alle arti marziali prima dell’attacco non influenza il risultato.
[ Walker J, Archer J, Davies M. Effects of rape on men: a descriptive analysis. Arch Sex Behav. 2005 Feb;34(1):69-80.]

Se quindi ti freezi, a cosa ti serve la maggiore forza fisica? Cosa ci fai?

A maggior ragione, l’importanza della forza fisica diventa risibile quando vengono usate le armi.
Infatti le donne impiegano maggiormente oggetti o armi proprie o improprie rispetto agli uomini per sopperire alla minore forza fisica nell’aggressione contro gli uomini in ambito domestico. Simili strategie possono logicamente essere estese nell’ambito della violenza sessuale, quando effettuata con modalità che implichino la forza fisica.
Citiamo ad esempio McLeod, che, esaminando un insieme di dati di 6200 casi di violenza contro il coniuge nell’area di Detroit nel 1978-79, scoprì che gli uomini usavano armi il 25% delle volte mentre le donne le usavano l’86% delle volte (ciò significa che le donne compensavano la propria minore forza fisica usando un’arma, solitamente un oggetto domestico); il 74% degli uomini aveva riportato ferite e, tra questi ultimi, l’84% aveva necessitato di cure mediche. [McLeod M. (1984). Women against men: An examination of domestic violence based on the analysis of official data and national victimization data. Justice Quarterly, 1(2), 171–193.].
Inoltre, uno studio del 2004 sul Journal of Family Violence che comparava la gravità delle lesioni nei casi maschili e femminili di violenza domestica, fece notare come le donne usino maggiormente armi ed oggetti negli episodi di abusi sul partner e che ciò conduca a procurare ferite al proprio compagno altrettanto gravi di quelle fatte da uomini violenti verso le loro compagne. Cito:
“Contrariamente alla nostra ipotesi, non c’era differenza nella percentuale di donne e uomini che avevano inflitto livelli di lesione da grave a estremo ai loro partner (vedi Tabella II). Queste lesioni, che richiedevano attenzione medica, includevano contusioni, ossa rotte e ferite da coltello […] Così, quando le donne infliggevano lesioni gravi ai loro partner, nella maggior parte dei casi usavano un’arma o un oggetto. Al contrario, gli uomini che infliggevano questo stesso grado di lesione erano più propensi ad usare i loro soli corpi per assalire le loro vittime”.
[Busch, A. L., and Rosenberg, M. S. (2004). Comparing women and men arrested for domestic violence: A preliminary report. Journal of Family Violence, 19(1), 49-57.]

Il discorso sulla forza si rivela quindi l’ennesima razionalizzazione che inconsciamente siamo portati a fare per giustificare e perpetuare gli atavici schemi dell’uomo sacrificabile e della donna da proteggere.
Ruoli apparentemente tradizionalisti ma che il femminismo ci tiene a mantenere.
Per carità, poi è possibile che ci si creda realmente, ma sentirsi arbitrariamente Superman, o percepire l’altro sesso come tale, non gli conferisce alcun superpotere e porta invece ad esporlo al pericolo senza alcuna effettiva tutela o protezione.

Oltre ai soliti svantaggi che possono derivare dall’uso di armi, oggetti e attacchi a sorpresa, la normale reazione di freezing che è possibile avere in una colluttazione è in questo caso pesantemente aggravata dal doppio standard per cui “una donna non si tocca nemmeno con un fiore”. Questo può portare l’uomo a difendersi in modo blando ed inefficace, per paura di far male alla partner violenta, e anche per timore di subire conseguenze sociali e penali (molti studi hanno mostrato infatti che quando la violenza è reciproca, è lui ad avere le maggiori possibilità di essere arrestato [Koller, J. (2013). “The ecological fallacy” (Dutton 1994) revised. Journal of Aggression, Conflict and Peace Research, 5(3), 156-166.], e le sue affermazioni di aver agito per legittima difesa – qualora egli riesca ad ammetterlo – difficilmente vengono prese sul serio).

Ecco dunque evidenziato come:
– la violenza non dipende dalla forza fisica, ma dall’ambito psicologico;
le donne usano armi proprie e improprie per sopperire alla minore fiducia nella loro forza fisica, mentre gli uomini usano maggiormente il proprio corpo per via di una maggiore fiducia nella propria forza fisica, il che rende le conseguenze fisiche dell’aggressione da parte di una donna pari a quelle da parte di un uomo;
la reazione di freezing impedisce alla quasi totalità degli uomini, in caso di pericolo concreto e non solo potenziale, di usare la forza fisica per difendersi;
– l’empathy gap, il doppio standard per cui “una donna non si tocca nemmeno con un fiore” e la paura di passare per l’aggressore in caso di violenza subita, impediscono ancora di più un’eventuale reazione di un uomo alla violenza di una donna.

Torniamo adesso all’articolo e notiamo come lo scenario immaginato dall’autrice sia proprio il classico vicoletto buio e lo stupro effettuato da uno sconosciuto. Ma come? Non erano proprio le femministe a dire che gli stupri erano attuati in prevalenza da conoscenti? E adesso che fanno, visto che vogliono negare lo stupro sugli uomini fanno tornare in auge il mito dello stupro in mezzo alla strada?
Infatti è risaputo che le aggressioni in strada di solito, visto il rischio di essere scoperti o che qualcuno chiami la polizia, implicano un’azione rapida come una rapina veloce per poi fuggire via, un’uccisione o un’aggressione fisica il più breve possibile, e non qualcosa di facile da scoprire e che richiede molto tempo come lo stupro, che richiede la durata di un intero rapporto sessuale.
E anche in questo ambito, sono gli uomini che subiscono maggiori aggressioni (e omicidi) per strada.
[Schlack, R., Rüdel, J., Karger, A. & Hölling H. (2013). Physical and psychological violence perpetration and violent victimisation in the German adult population: results of the German Health Interview and Examination Survey for Adults (DEGS1). Bundesgesundheitsblatt Gesundheitsforschung Gesundheitsschutz, 56(5-6), 755-64.]

Infatti secondo numerosi studi, 2/3 degli stupri avvengono in spazi non pubblici, e più di 3/4 sono commessi da persone che la vittima conosce.
[Planty, M., Langton, L., Krebs, C., Berzofsky, M. & Smiley-McDonald, H. (2013). Female Victims of Sexual Violence, 1994-2010. Bureau of Justice Statistics.]

Dunque chiedersi come faccia una donna ad “abbordare la vittima” se uomo, è una domanda assai ignorante, visto che di norma gli autori di stupro conoscono già le loro vittime, e non si capisce perché quando le vittime sono uomini ciò dovrebbe essere diverso. Inoltre ogni interazione sociale può rappresentare per una stupratrice un modo per conoscere le sue potenziali vittime.

Continuiamo adesso con un’altra uscita ignorantissima. Cito:

“Come vuoi convincere il pene ad una erezione? Perché senza erezione lei non può farsi penetrare. Dunque? Lo manipola e trova zone erogene segrete?”

Solitamente avrei citato il come e il perché dell’erezione, ma voglio chiarire una cosa: lo stupro sugli uomini non necessita di un’erezione. Per illustrare meglio questo concetto, porterò l’esempio dello stupro effettuato da Amy Schumer, che ha violentato un ragazzo a cui l’erezione non è arrivata, ma spero che nessuno consideri quello che ha subito come qualcosa di diverso da una violenza sessuale.

Amy Schumer ha tenuto questo discorso al Gloria Awards and Gala dell’associazione femminista “Ms. Foundation for Women”. Vorrei porre attenzione sulla parte in cui la Schumer ha affermato: “io stavo qui, e volevo essere tenuta e toccata e sentita desiderata, nonostante tutto. Volevo stare con lui”.
Ecco, lei aveva capito che lui non era in grado di acconsentire davvero, non era in grado nemmeno di stare bene in piedi (infatti dice che cercava di guardarla “di lato, come uno squalo”) – al punto che successivamente, mentre lo fanno, lui si addormenta più e più volte e cade addirittura dal letto – ma lei se ne frega. Lei voleva “essere tenuta e toccata e sentita desiderata, nonostante tutto”. E questo anche facendo sesso con una persona che evidentemente non era in grado di acconsentire.

Riporto qui le parti salienti del discorso che fanno riferimento allo stupro:

“Finalmente, la porta si apre. E’ Matt, ma non davvero. Lui è lì, ma non veramente. La sua faccia è una specie di distorta, e i suoi occhi sembrano come se non si potessero concentrare su di me. In realtà sta cercando di vedermi di lato, come uno squalo. “Hey” urla, troppo forte, e mi dà un abbraccio, troppo forte. E’ fottutamente andato. […] Ma io stavo qui, e volevo essere tenuta e toccata e sentita desiderata, nonostante tutto. Volevo stare con lui. Ci immaginavo sul campus insieme, tenendoci per mano, dimostrando, “Guarda! Sono adorabile! E piaccio a questo ragazzo figo e più grande di me!”. Non posso essere la bambolina a forma di troll che temevo fossi diventata. […] Le sue dita si infilarono dentro di me come se avessero perso le chiavi lì dentro. E poi venne il sesso, e uso quella parola molto vagamente. Il suo pene era così soffice, sembrava come uno di quei cosi antistress che scivolano dalla tua mano? […] Iniziò a scendere su di me. E’ ambizioso, credo. E’ ancora considerato azzeccarci se il ragazzo cade addormentato ogni tre secondi e muove la sua lingua come un anziano che mangia la sua ultima farina d’avena? […] Lo scuotei per svegliarlo. “Matt, cos’è questo? Il suoundtrack di Braveheart? Puoi mettere qualcosa di diverso, per favore?” Si sveglia scontroso, cade sul pavimento, e striscia. […] Strisciò indietro nel letto, e provò a schiacciare a questo punto la sua terza palla nella mia vagina. Al quarto colpo, si arrese e si addormentò sul mio seno.

Questo non è stupro, forse? Anche se non c’è stata un’erezione? Sfido chiunque ad affermarlo. Questo è uno stupro. Su un uomo. E non è stata necessaria un’erezione per affermarlo.
E la sua stupratrice lo ha deriso pubblicamente per un’erezione che non è riuscito a sostenere, pur essendo cosciente che non era in grado di acconsentire per via del suo stato.

Per spiegare poi come sia possibile stuprare un uomo e quali meccanismi, oltre all’erezione, le stupratrici usano, ho stilato questo schemino, che cito:

“A chi dice che non è possibile che una donna stupri un uomo, spieghiamo noi in che modo è possibile:
1) ricatto o minaccia
2) alcol (ad esempio inducendo o approfittando di uno stato di alterazione alcolica tale che la persona non è in grado di dare il consenso)
3) droghe o farmaci
4) forza (sia fisica nel caso di maggiore massa che usando armi proprie o improprie nel caso di minore massa)
5) non rispettare il “no” dell’individuo e questi è freezato o per attitudine non reagisce (ma nemmeno dà il consenso) quando l’altra parte insiste e fa come le pare
6) come il #5 ma durante un rapporto già avvenuto, quando ad esempio si contratta di cambiare posizione e la vittima non consente ma l’altra parte va avanti comunque.

Se chiede invece in cosa consista, può essere:
1) stimolazione (orale, manuale o coadiuvata da sex toys) dei capezzoli
2) sesso orale (sia con sia senza erezione, sia di sé che dell’altra parte)
3) sesso manuale (mast..bazione all’altro e/o ricevuta, sia con sia senza erezione)
4) penetrazione vaginale con erezione spontanea
5) tentata penetrazione vaginale senza erezione spontanea
6) penetrazione anale con erezione spontanea
7) tentata penetrazione anale senza erezione spontanea
8) anilingus (sia ricevuto sia eseguito)
9) penetrazione ricevuta tramite dita, strapon, dildo, sex toys o altri oggetti
10) probabilmente molto altro, visto che il sesso è un argomento molto vasto, e quindi altrettanto vaste sono le possibilità di impiegarlo come strumento per fare violenza
.

Premesso dunque che non è necessaria l’erezione per parlare di stupro dato che è stupro anche il solo provare/maneggiare i genitali altrui senza il consenso dell’altro, numerosi studi hanno riscontrato che l’erezione è riflessogenica e che può avvenire anche in caso di rabbia, paura, terrore e altre emozioni sicuramente non positive.
In più c’è sempre la possibilità di far ingerire all’altro del viagra o farmaci simili.”

Anche altri femministi, rispondendo all’articolo originario, hanno evidenziato come gigolò e trans mtf nel giro della prostituzione riescano a fare sesso e ad ottenere erezioni anche con persone da cui non sono attratti e attratte. Cito:

Stefano scrive: “Certi maschi anche in caso di sottomissione e paura, con la stimolazione ripetuta possono ottenere un’erezione, le erezioni non sono semplici e uguali a tutti come sembra dire l’articolo.
Anche obbligarlo al sesso orale o inserendogli cose nell’ano è stupro, drogarlo o minacciarlo per sesso idem.
Non è detto che lei debba sottometterlo tutto il tempo con le sue mani, potrebbe anche riuscire legarlo o minacciarlo con tipo un coltello.
Ricordiamoci che gigolò e trans mtf nel giro della prostituzione la maggior parte delle volte fan sesso con gente che non gli attrae manco un po’ e riescono ad avere erezioni.”

E:

A chi dice che solo chi ha un pene può stuprare risponde Clare che dice: “//Solo chi ha un pene può stuprare// allora castrare gli stupratori funzionerebbe benissimo, mentre l’obiezione classica è che un violento castrato troverà altri modi per esercitare il suo desiderio di sopraffazione (oggetti, per dirne una?). Il nemico non è l’uccello, è il disprezzo per il consenso.”

Questo è un punto importante, il fatto che lo stupro non sia sinonimo di eccesso di desiderio sessuale, ma di sopraffazione dell’altro impiegando il sesso come mezzo. L’autrice invece cede proprio alla narrazione che lo stupro derivi da un approccio sessuale “standard”. Cito dal suo articolo:

“Prende di mira un uomo di un metro e ottanta (anche di un metro e settanta se volete) come minimo e poi cosa fa? Lo insegue? Gli dice “quanto sei bono, vieni con me che ti faccio vedere le stelle?”.”

E questa è una delle obiezioni principali alla simmetria di genere tra stupri uomo-su-donna e donna-su-uomo: l’idea che lo stupro segua il classico modo di funzionare del sesso normale. Molti si chiedono: “se gli uomini sono socializzati (o biologicamente portati, a seconda delle idee) a essere “cacciatori”, a fare più sesso, ad essere meno selettivi delle donne (la questione ipo/ipergamia), ad accettare di più un invito al sesso rispetto alle donne, come può esserci parità di violenza?”.

Questa idea però parte da un presupposto sbagliato: lo stupratore o la stupratrice come colui/colei che vuole sesso dalla sua vittima. In realtà se volesse solo sesso, non sarebbe uno stupratore: gli uomini che fanno molto sesso sono libertini, e l’essere libertini non porta a diventare automaticamente stupratori o a essere più propensi a diventarlo. Lo stupratore non cerca solo sesso: cerca sesso + voglia di controllare, dominare, umiliare o danneggiare l’altro. Quindi le volte in cui è in grado di appagare il bisogno di sesso sono meno “invitanti” ai suoi occhi rispetto alle volte in cui è in grado di appagare il bisogno di controllo e umiliazione dell’altro. Questo perché di fatto lo stupratore è un narcisista: non sceglie semplicemente in base all’attrazione fisica o psicologica, lo stupratore o la stupratrice scelgono in primo luogo in base alla possibilità di poter avere un dominio totale sull’altro, dominio questo espresso mediante la violenza. Mediante la violenza lo stupratore esalta sè stesso, vede sè stesso come potente, rafforza il suo narcisismo.

Che lo stupro sia correlato con il narcisismo è evidente da diversi studi. Ad esempio, secondo una ricerca del 2003, il narcisismo correlava positivamente con le credenze supportive dello stupro e negativamente con l’empatia verso le vittime di stupro, i narcisisti presentavano maggiore gradimento verso film che presentavano scene di stupro a seguito di scene di sesso consensuale ed erano maggiormente punitivi verso persone del sesso opposto che si rifiutavano di leggere loro ad alta voce passaggi testuali sessualmente eccitanti [Bushman, Brad J.; Bonacci, Angelica M.; van Dijk, Mirjam; Baumeister, Roy F. Narcissism, sexual refusal, and aggression: Testing a narcissistic reactance model of sexual coercion. Journal of Personality and Social Psychology, Vol 84(5), May 2003, 1027-1040.].

Un’ulteriore prova che mostra il collegamento tra volontà di nuocere mediante il sesso e stupro, e che non relega quest’ultimo a semplice “eccesso di desiderio sessuale” riguarda la castrazione. Difatti una review di diversi studi mostra che tra lo 0 e il 10% degli stupratori castrati reitera una violenza anche in questo stato, violenza che dunque non può essere più collegata a semplice desiderio sessuale [Weinberger LE, Sreenivasan S, Garrick T, Osran H. The impact of surgical castration on sexual recidivism risk among sexually violent predatory offenders. J Am Acad Psychiatry Law. 2005;33(1):16-36.]. Ci si aspetterebbe, se l’ipotesi “stupro come eccesso di desiderio” fosse vera, che il range di reiterazione dei soggetti non castrati fosse superiore al 10%, ma non è così: infatti il numero di stupratori NON castrati negli USA che reiterano è il 5,3%, perfettamente nella media di quelli castrati [Langan, P.A., Schmitt, E.L., & Durose, M.R. (2003). Recidivism of sex offenders released from prison in 1994. Bureau of Justice Statistics Special Report, November 2003, NCJ 198281. Washington, DC: U.S. Department of Justice.].

In aggiunta, uno studio che ha preso in considerazione i resoconti di 133 stupratori e 92 vittime riguardanti la motivazione dominante per gli stupri, ha trovato che tali crimini potevano essere distinti in “stupro di potere” (sessualità usata primariamente per esprimere potere) e “stupro di collera” (uso della sessualità per esprimere collera): non vi erano stupri in cui il sesso era la motivazione dominante, ma la sessualità era sempre a servizio di altri bisogni non sessuali [Groth AN, Burgess W, Holmstrom LL. Rape: power, anger, and sexuality. Am J Psychiatry. 1977 Nov;134(11):1239-43.].

Un’altra evidenza delle differenze tra stupro – ovvero una violenza consapevole – e un rapporto sessuale normale, è il fatto che esista una maggiore possibilità di essere nuovamente vittime (fenomeno chiamato “rivittimizzazione sessuale”) o di diventare autori di stupro (sebbene la maggioranza delle vittime non lo diventi) in caso di violenza sessuale subita, il che ci suggerisce che essa sia un pattern di interazione sessuale violenta, e non una semplice questione di “opportunità” , e che dunque i criminali, uomini e donne, cerchino una vittima, piuttosto che una persona disponibile al sesso, che probabilmente non troveranno altrettanto interessante ai loro occhi.

Quindi, come abbiamo visto, la questione domanda-offerta sessuale non si pone nel caso dello stupro, in quanto pattern di interazione sessuale violenta e non semplice sesso.

Per questo motivo una stupratrice, al pari di uno stupratore, troverà più attraente ai propri occhi:
– persone che non provano attrazione per lui/lei;
– pratiche sessuali a cui anche le persone che provano attrazione per lui/lei non aconsentono;
– fare sesso nei momenti in cui l’altro non ne ha voglia (momenti che – obiettivamente – esistono per tutti).

Il tutto al fine di aumentare il proprio narcisismo: forzare l’altra persona alimenta l’idea di potenza e di controllo che lo stupratore associa o vuole associare a sè, in maniera assolutamente narcisistica.
La vittima diviene riflesso della sua potenza e ciò rafforza il suo ego.

Tornando alle tre variabili, l’unione di esse fa sì che la differenza tra domanda e offerta che normalmente è presente nelle relazioni sessuali consenzienti appaia in questo caso insignificante.

D’altra parte, la memoria di questa differenza tra domanda sessuale e offerta nelle relazioni consensuali fa sì che anche nei casi in cui non si applica, come quello dello stupro, vengano valutati alla luce di tale modello. Per questo motivo gli uomini stuprati da donne vengono giudicati maggiormente delle donne stuprate da uomini.

Adesso che abbiamo approfondito il tema stupro-come-violenza e quello della castrazione, torniamo all’erezione.

Come affermato in precedenza, infatti, anche se non è in erezione, cercare di avvolgere il pene di un uomo con la propria vulva senza che lui dia il consenso è stupro.
In fondo una persona che “lavora” con i genitali di un’altra nel mezzo di un’attività sessuale sta già compiendo una violenza, che poi tale atto porti o meno ad un’erezione o ad un orgasmo non lo rende meno violenza.

In realtà però l’erezione è molto facile da mantenere in caso di violenza o di stato di intossicazione. Partiamo da questo, infatti molte persone erroneamente credono che non si possa ottenere un’erezione se l’uomo è ubriaco.

Cito ad esempio da un articolo del 2004:

“Reported American cases have, to some extent, acknowledged that a man is able to sustain an erection during unwanted sexual contact. For example, in State v. Karlen, 166 the Supreme Court of South Dakota interpreted a sexual encounter as non-consensual when a man performed fellatio upon another man to the point of ejaculation when the victim had been asleep and/or passed out. The Massachusetts court of appeals held similarly in Commonwealth v. Tatro, 167 where the victim dozed off and/or passed out and subsequently awoke to find the defendant performing fellatio on him.
[…] these cases […] recognize that a victim can sustain an erection during unwanted sexual touching, […] the alleged consent was induced by fraud, drugs, or alcohol.
[Siegmund Fred Fuchs. Male sexual assault: issues of arousal and consent. Cleveland State Law Review 51:93–121, 2004.]

Un altro articolo, del 2011, afferma: “This review supports the idea that men often experience involuntary erections or ejaculations during a sexual assault and that these responses do not signify consent by the victim.”
Voglio sottolineare l’often, spesso. Non si tratta di casi isolati ma di un fenomeno diffuso.
Cito ancora dallo stesso paper:
Many male victims, either because of physiological effects of […] direct stimulation by their assailants, have an erection, ejaculate, or both during the assault. This is incorrectly understood by assailant, victim, the justice system, and the medical community as signifying consent by the victim. Studies of male sexual physiology suggest that involuntary erections or ejaculations can occur in the context of nonconsensual […] sex. Erections and ejaculations are only partially under voluntary control and are known to occur during times of extreme duress in the absence of sexual pleasure. Particularly within the criminal justice system, this misconception, in addition to other unfounded beliefs, has made the courts unwilling to provide legal remedy to male victims of sexual assault, especially when the victim experienced an erection or an ejaculation during the assault.”
[Clayton M. Bullock and Mace Beckson. Male Victims of Sexual Assault: Phenomenology, Psychology, Physiology. Journal of the American Academy of Psychiatry and the Law Online April 2011, 39 (2) 197-205.]

E i casi dove l’uomo è ansioso? Può un uomo ansioso (e si presuppone che uno stupro crei ansia) avere un’erezione? Un paper del 2011 conferma di sì. Cito:

“Studies have show that increased anxiety is associated with premature or spontaneous ejaculation, and there is a notable body of literature, going back to Freud, on the association of anxiety-provoking situations with erections and ejaculation. Men and boys have been described as having spontaneous ejaculations in response to several exciting or anxiety-provoking stimuli, including during examinations and public performances or when experiencing fear of being punished or fear of not being able to finish tasks. Several case reports describe individuals who have spontaneous ejaculations during times of extreme anxiety or even during panic attacks. Premature ejaculation is a common sexual dysfunction in male socially phobic patients, and one study found that 9 of 19 patients studied retrospectively had this complaint. Anxiety seems to facilitate erections in men. For example, a 1983 study of male volunteers found that the threat of contingent shock while the volunteers watched an explicitly erotic video produced the highest penile tumescence. “If anything, anxiety stimulates sexual arousal” (Ref. 55, p 242). In an excellent collection of case reports, Sarrel and Masters describe several cases of men forcibly sexually assaulted, who nevertheless maintained erections and ejaculated during the assault. This includes one case of a 27-year-old who was drugged, taken to a motel room, tied to a bed, and gagged. He was forced to perform coitus with four different women repeatedly over the course of more than 24 hours. At one point between coital episodes, he was threatened with castration and a knife applied to his scrotum when he experienced difficulty having an erection. He was able to have a full erection after rest periods. Kinsey concluded, “The record suggests that the physiologic mechanism of any emotional response (e.g., anger, fright, and pain) may be the mechanism of sexual response.”
[Clayton M. Bullock and Mace Beckson. Male Victims of Sexual Assault: Phenomenology, Psychology, Physiology. Journal of the American Academy of Psychiatry and the Law Online April 2011, 39 (2) 197-205.]

Proprio questo caso è esemplare. Sarrel e Masters parlano di un 27enne che è stato drogato, portato in una stanza di un motel, forzato a fare sesso con 4 diverse donne ripetutamente nel corso di più di 24 ore, con minacce di castrazione e con un coltello puntato al suo scroto quando aveva difficoltà ad avere un’erezione. Eppure, nonostante questo, è stato in grado di avere erezioni dopo dei periodi di riposo tra un rapporto e l’altro.

Lo studio di Sarrel e Masters afferma categoricamente, quindi che “la convinzione che sia impossibile per i maschi rispondere sessualmente quando sottoposti a molestie sessuali da parte di donne è contraddetta. L’erezione può verificarsi in una varietà di stati emotivi, tra cui la rabbia e il terrore [Sarrel PM, Masters WH. Sexual molestation of men by women. Arch Sex Behav. 1982 Apr;11(2):117-31.].
Similmente, un articolo del 2004 sul Journal of Clinical Forensic Medicine afferma che: “La review esamina se la stimolazione sessuale non richiesta o non consensuale sia di femmine che di maschi possa portare ad eccitazione sessuale indesiderata o addirittura a raggiungere l’orgasmo. La conclusione è che tali scenari possono verificarsi e che l’induzione di eccitazione e l’orgasmo non indicano che i soggetti abbiano acconsentito alla stimolazione. La difesa dei perpetratori costruita semplicemente sul fatto che la prova di un’eccitazione genitale o dell’orgasmo dimostri il consenso non ha validità intrinseca e deve essere ignorata[Levin RJ, van Berlo W. Sexual arousal and orgasm in subjects who experience forced or non-consensual sexual stimulation — a review. J Clin Forensic Med. 2004 Apr;11(2):82-8.].

Riassumendo, quindi:
– l’erezione non è necessaria perché un uomo possa essere stuprato, anche solo provare a forzarlo a penetrare è uno stupro;
– l’erezione si verifica anche in caso di paura, rabbia e terrore (studio di Sarrel e Masters);
– l’erezione si verifica anche in caso di ubriachezza o intossicazione da alcol o sostanze (studio di Siegmund Fred Fuchs);
– l’erezione si verifica anche in caso di ansia (studio di Bullock e Beckson);
– l’erezione si verifica SPESSO in caso di violenza (anche qui Bullock e Beckson);
– l’erezione si verifica anche nell’eventualità dell’impiego di forza e minaccia di violenza grave, come il caso del 27enne forzato a fare sesso con 4 diverse donne ripetutamente nel corso di più di 24 ore con minacce di castrazione e con un coltello puntato al suo scroto.

Un aspetto spesso taciuto della questione stupro-sugli-uomini ed evidenziato in un articolo del 2018, è l’interazione tra violenza sessuale e violenza sui minori. Il paper riporta la testimonianza di un uomo che, vittima di violenza sessuale da parte della moglie, doveva sottostare ai suoi abusi perché lei lo minacciava di fare del male ai figli. Cito:
“One man disclosed that threats were made by his partner toward his children; “[she] threatened to abandon [the] children or hurt them…when I refused sex.”

Lo stesso studio, dimostra un ampio uso da parte delle stupratrici della forza fisica, e, secondo l’autrice: “the findings highlight that more effort needs to be put into dispelling the stereotype that women cannot and do not use force when compelling men into penetration and, more broadly, the myth that women do not “have the size, strength, or ability to physically force a man to have sexual contact” (Struckman-Johnson & Anderson, 1998, p. 11). This is a damaging stereotype that is likely to negatively impact upon reporting rates and criminal justice and societal responses to this form of sexual violence.”
Questo paper, oltre ad evidenziare i classici tipi di violenza sessuale (coercizione verbale con minacce e ricatti, intossicazione con alcol e sostanze, uso della forza fisica, ecc.), rivela che esistono alcune strategie “di genere” che le donne stupratrici usano. Si tratta di “strategies where women are aware of, and take advantage of, their gendered roles and experiences, qua women.”
Queste strategie prendevano due forme diverse: minacce riguardanti false accuse di stupro, e lo sfruttamento del ruolo di madri per interferire nella relazione padre-figlio.
Per quanto riguarda il primo tipo, l’autrice ci tiene a far capire che esso è indipendente dall’ambito giudiziario e dalla prevalenza nei tribunali di false accuse, e che riguarda più un ambito sociale, dunque l’effettiva prevalenza delle false accuse che arrivano in tribunale non va a intaccare l’esistenza di questa strategia di violenza. Cito:

“it is suggested that a strategy involving the threat of a false allegation is one that is likely to have maximum impact when used by a woman because of existing legal and social definitions and understandings of sexual violence, i.e., men as perpetrators and women as victims. Therefore, while the same threats of a false rape allegation could be made by a man in respect of a woman, the woman concerned may not believe there would be real consequences for her as a result. For men, however, the potential for such a threat to become a reality may be particularly coercive because of the damaging consequences that could occur. It is true that there are undoubtedly still issues around women who report sexual violence being believed (see, e.g., Bahadur, 2016; Jordan, 2004). However, a report of rape is (quite rightly) expected to at least involve a police investigation and, depending on the available evidence, potentially a criminal trial. There is also likely to be a substantial amount of emotional distress experienced by a man under investigation in the context of a false allegation due to the potential stigma and reputational ruin associated with being considered a “rapist” (Levitt & Crown Prosecution Service Equality and Diversity Unit, 2013; Wells, 2015). Societal perceptions around sexual violence perpetrators are only likely to enhance this further, with recognition of men as perpetrators and women as victims much more common than any other victim–perpetrator paradigm (Weare, 2018).”

Per quanto riguarda la seconda strategia, invece: “men reported women exploiting their roles as mothers or mothers-to-be, for example by threatening to negatively interfere in the men’s relationships with their children, harming the fetus while pregnant, or terminating the pregnancy. Seven men reported this strategy being used against them; for example: “[s]aid that she would stop all access to see my children” and “said she’d get an abortion if I didn’t have sex with her. […] In the context of the findings presented here, there is evidence that some women use their roles as mothers as a coercive strategy in relation to compelled penetration. In doing so, it appears that they are creating and exploiting a power hierarchy where they use their gendered role as mothers to solidify control over men’s behavior and coerce them into intercourse. ”

[Weare S. From Coercion to Physical Force: Aggressive Strategies Used by Women Against Men in “Forced-to-Penetrate” Cases in the UK. Arch Sex Behav. 2018 Nov;47(8):2191-2205.]

A proposito della prevalenza, nonostante abbiamo già riportato moltissimi studi in numerose situazioni, aggiungiamo un recente studio del 2018, che mostra come la violenza sessuale delle donne sugli uomini sia un fenomeno con differenze di genere non significative, e che riporta come tale risultato sia in linea con le precedenti ricerche:

“The overall rates of victimization did not differ significantly between men and women. Perpetration rates […] did not differ significantly in the 12 months between T1 and T2. […] Overall, the two gender groups showed more similarities than differences in the extent to which they reported victimization and perpetration, similar to previous studies (D’Abreu, Krahe ́, & Bazon, 2013; Hines, Armstrong, Reed, & Cameron, 2012; Krahe ́et al., 2015).”

[Tomaszewska P, Krahé B. Predictors of Sexual Aggression Victimization and Perpetration Among Polish University Students: A Longitudinal Study. Arch Sex Behav. 2018 Feb;47(2):493-505.]

Abbiamo quindi visto come la violenza fisica sia effettivamente impiegata anche dalle donne, come la prevalenza dello stupro sugli uomini sia pari a quella dello stupro sulle donne, e infine come alle strategie classiche si aggiungano specifiche strategie “di genere” per costringere gli uomini a fare sesso contro la loro volontà, incluse minacce di violenza nei confronti dei figli, di impedire il contatto con il loro padre e minacce di false accuse di stupro.

Sperando di aver risposto a chi chiedeva “come è possibile stuprare un uomo?”, concludo qui l’articolo e ringrazio tutti per avermi seguito fino a qui nella lettura.

Un caro saluto,
[A.]

Le donne ostacolano il diritto all’aborto tanto quanto gli uomini

A seguito della legge anti-abortista dell’Alabama che impedisce l’aborto anche nei casi di incesto e stupro, si è riaffermata la narrazione femminista su come sia “colpa degli uomini per tutte le leggi antiabortiste” e “se gli uomini avessero potuto abortire, l’aborto sarebbe stato legale da sempre” (frase assurda, anzi, vera e propria follia, considerando che avviene invece proprio l’opposto: i diritti riproduttivi femminili sono legali mentre quelli maschili, come la rinuncia di paternità, no). Vi sono addirittura foto come questa, che recita: “Il 77% dei leader anti-aborto è composto da uomini. Il 100% di loro non resterà mai incinta”:

La cifra non ha fonte, e sembra inventata, non sappiamo quindi se sia vera o meno. Eppure, anche se lo fosse, sappiamo che esistono, a causa dei ruoli di genere, differenze nella scelta dei lavori, e quello di politico, che sia politico parlamentare o leader di un movimento politico, è un lavoro a maggioranza maschile. Essendo perciò un fattore trasversale all’intera classe politica, è la maggiore presenza degli uomini in politica che renderebbe gli uomini il 77% dei leader anti-aborto (sempre se tale cifra risultasse vera), e non la maggiore o minore percentuale di antiabortisti tra gli uomini o tra le donne nella popolazione generale, come invece si lascia ingannevolmente intendere.
Andando a vedere infatti come si divide l’opinione della popolazione in generale, possiamo comprendere quanto le responsabilità per l’esistenza dell’antiabortismo siano divise tra i sessi.
In questo modo possiamo notare come le donne siano responsabili quanto gli uomini nella creazione e nella perpetuazione del sistema che ostacola il diritto all’aborto.

Prima di tutto, però, chiediamoci: perché questo tema ci interessa così tanto? Non è forse una questione marginale? Le femministe in fondo hanno sempre parlato contro certe donne che si oppongono all’aborto.
E’ vero, ne hanno parlato, ma ne hanno sempre parlato come di una minoranza. La fetta maggiore di responsabilità, la colpa, l’hanno sempre attribuita agli uomini.
Ovviamente dimostrare che le donne non siano solo una piccola minoranza ma abbiano la stessa identica responsabilità degli uomini nel creare il sistema antiabortista si inserisce nel dibattito tra la visione del mondo femminista, che poggia sulla Teoria del Patriarcato (la quale afferma che gli uomini siano oppressori del genere femminile), e la nostra visione del mondo, che si basa sulla Teoria del Bisessismo, secondo la quale il sistema di genere sarebbe sostenuto in maniera paritaria tra uomini e donne: uomini e donne sarebbero ugualmente co-carnefici e co-creatori del sistema dei ruoli di genere, che quindi non potrebbe più logicamente essere denominato “patriarcato”, perché gli uomini contribuirebbero ad esso nella stessa misura delle donne.

Ovviamente vi sono questioni specifiche in cui un’adesione paritaria non sussiste, ma si tratta solitamente di casi molto poco rilevanti nel dibattito pubblico: nelle questioni di genere risulta invece spesso presente una sostanziale adesione del genere femminile anche nella stessa negazione dei propri diritti, equivalente o addirittura maggiore rispetto alla percentuale maschile. Ad esempio, nel 1895, alle donne del Massachusetts fu chiesto dallo stato se desiderassero il suffragio. Delle 575.000 donne votanti nello stato, solo 22.204 si presero il disturbo di depositare in una scheda elettorale una risposta affermativa a questa domanda. Cioè meno del 4% desiderava il voto; mentre all’incirca il 96% delle donne era contrario al suffragio femminile o indifferente ad esso.

Ovviamente, considerato ciò, descrivere la percentuale di donne antiabortiste come “una piccola minoranza” risulta ingannevole e fuorviante, servendo semplicemente ad alimentare il sentimento di odio verso il genere maschile.

Vox ci ha mostrato che numerosi sondaggi hanno infatti evidenziato come le opinioni sull’aborto tra uomini e donne non cambino di molto tra loro.
Un sondaggio di PerryUndem e Vox che ha provato a catturare le diverse idee americane sull’aborto ha sottolineato che gli statunitensi tendono a non usare i termini “pro-vita” e “pro-scelta” in maniera rigida: certe volte non li vedono neanche in maniera mutualmente esclusiva (ritroviamo infatti le opzioni “entrambi” e “nessuno dei due”). Inoltre ha mostrato che uomini e donne hanno la stessa probabilità di descriversi come “pro-scelta”, mentre le donne hanno leggermente più possibilità degli uomini di descriversi come “pro-vita”:

Altri sondaggi che hanno fatto domande diverse hanno raggiunto conclusioni sostanzialmente simili. Nei dati, divisi per anni e serie temporali, condotti dall’agenzia di analisi Gallup, le donne hanno leggermente più probabilità di dire che l’aborto dovrebbe essere legale in tutte le circostanze, ma anche leggermente più probabilità di affermare che l’aborto non dovrebbe essere legale in nessuna circostanza.

E questo non è solo un capriccio della politica americana. Pew ha effettuato una grande comparazione internazionale che mostra quante persone, in tutti i Paesi, ritengono che l’aborto dovrebbe essere legale “in tutti o nella maggior parte dei casi”. Ha trovato divari di genere (e neanche qui così enormi; senza contare poi che non ha valutato il divario di genere su chi pensa che l’aborto dovrebbe essere sempre o quasi sempre illegale, aspetto che nel precedente sondaggio dava anch’esso una maggioranza femminile) solo in una manciata di Paesi come l’Armenia e il Portogallo, ma la situazione dei restanti Stati è che le differenze tra uomini e donne nel sostegno all’aborto in ogni caso o in quasi ogni caso non siano significative.

Eppure, nonostante questi dati, vi sono articoli come “Every Senate Vote for Alabama’s Abortion Ban Was From a White Man” di HuffPost, che mirano a identificare il nemico non nel sentire comune di donne e uomini antiabortisti, con una responsabilità condivisa di entrambi i generi, ma solo ed esclusivamente negli uomini.

Cito in proposito un’osservazione che gli amministratori di Hombres, género y debate crítico hanno fatto a queste asserzioni:

“Questo articolo offre l’impressione che la legge anti-abortista dell’Alabama sia una cospirazione maschile per controllare i corpi delle donne. “Tutti i voti al Senato per la legge erano di uomini bianchi.” Ma è così? Vediamo i dettagli.

Come indica lo stesso articolo, vi sono 27 senatori repubblicani. 25 hanno votato a favore, le restanti due, donne, si sono astenute. Coloro che hanno votato contro erano tutti democratici. L’allineamento politico ci dice più del sesso nel votare?

Il promotore della legge, che ha avuto inizio nella Camera dei rappresentanti, è Terri Collins, donna e repubblicana. La governatrice che ha firmato la legge (avrebbe potuto porre il veto o lasciarla passare senza la sua firma), anche, Kay Ivey.

Se analizziamo i voti nella Camera dei Rappresentanti, vedremo che sette donne hanno votato a favore della legge, mentre una donna ha votato contro. Ancora una volta, gli allineamenti politici sono più importanti del sesso. Ripeto, 7 a 1.

E possiamo anche vedere nel link precedente per notare che quelli che hanno votato “no” alla legge erano due uomini e una donna.

Al contrario, coloro che hanno affermato che le leggi statali che proibivano l’aborto erano incostituzionali nel caso Roe v. Wade erano tutti maschi. Sì, era il 1973, quindi anche questo è molto sorprendente per la narrativa femminista delle donne che al tempo avrebbero “lottato contro il sistema maschile”. Sistema che invece, come notiamo, non era responsabilità unicamente maschile.

Quello che intendo concludere è che non si tratta di uomini contro donne, ma di opposte posizioni ideologiche. Niente di nuovo sotto il sole.


La votazione nella camera dei rappresentanti:

https://legiscan.com/AL/rollcall/HB314/id/855346

Fingere l’auto-difesa per non finire in carcere: come le donne violente riescono a farla franca

“Mentire è un mezzo elementare di auto-difesa”

Purtroppo sembra che non si possa parlare dell’atteggiamento generale che le persone hanno verso determinate notizie senza dover parlare anche delle notizie in sé. Invece io vorrei parlare proprio di questo, della *reazione* alla notizia sulla (presunta) legittima difesa da parte della figlia patricida, non tanto del caso di cronaca in sé. La riflessione che sto per fare avrebbe quindi senso anche se si trattasse effettivamente di legittima difesa, perché riguarda quello che la gente pensa dell’evento e i meccanismi con cui si formano le loro opinioni a caldo, piuttosto che l’evento stesso.

Partiamo dal fatto che la nostra società ormai è una società la cui percezione è governata dai media. Non andiamo a vedere le statistiche degli eventi, ma prendiamo quei due-tre casi di cui il TG può parlare e li estendiamo per analogia e bias di conferma alle altre migliaia di casi simili. Questo fa sì che anche l’opinione della gente si modifichi in base a cosa vada di moda in quel momento tra i TG, per cui in passato il pericolo sembravano essere gli albanesi e tutti giù a dar contro agli albanesi, poi sono apparse le notizie sui romeni e tutti giù a dar contro ai romeni e così via. Per carità, può capitare che una maggiore attenzione del TG a un tema piuttosto che a un altro sia specchio della sua maggiore presenza, ma non è automatico. Ad esempio per un certo periodo i TG si erano focalizzati sulle morti per parto, quando le statistiche ci dimostrano che rappresentano lo 0,qualcosa% del totale. Eppure, a sentire loro, sembrava di essere tornati all’Ottocento.

Il problema quindi è anche come una notizia viene presentata, e a cosa venga data maggiore enfasi. Nel caso in cui i TG diano enfasi all’autodifesa, quello che mi viene spontaneo chiedere è: “perché nessuno testa questa ipotesi? Perché nessuno dice ‘hey ma come facciamo a fidarci delle parole dell’assassina? È evidente che abbia conflitti d’interesse'”. Perché nessuno si chiede: “cosa dice l’autopsia? Conferma o disconferma questa versione?”. Perché, nel caso in esame, gli esami autoptici non vengono esaminati prima delle dichiarazioni delle assassine? Perché le dichiarazioni delle assassine vengono viste in automatico come vere? Perché non parliamo di lui come vittima (essendo morto per mano della donna, che ha ammesso l’atto), ponendo enfasi sul dato che tutti confermano (ovvero che sia stato ucciso da lei) e solo nel caso, qualora l’autodifesa venisse a galla (dato non ancora confermato né analizzato), rovesciare questa descrizione? Perché la dichiarazione della persona con maggior conflitto d’interessi deve valere quanto il dato fattuale dell’uccisione, prima ancora che tale dichiarazione sia stata valutata? Perché il fatto che una persona sia stata violenta in passato rappresenta, nel caso delle donne che uccidono gli uomini, la prova che lei si sia solo difesa, mentre nel caso degli uomini che uccidono le donne, la prova che lui non fosse veramente vittima e che fosse anzi lui il vero abusante?Tornando al caso in esame, perché non si pensa a quanto le dichiarazioni di autodifesa coincidano o meno con i danni ritorvati sul corpo del padre e su quello della figlia? Perché nessuno pensa “ah ma come mai la coltellata è avvenuta in quel punto piuttosto che in quest’altro? Questo punto, nella dinamica del litigio, è più probabile che venga preso nei casi di autodifesa o si sposa più con la ricostruzione di un atto deliberato di violenza di lei verso lui?”

Non c’è nessuna riflessione di questo tipo nel dibattito pubblico. Non viene proprio in mente. La potenza dell’enfasi posta dai TG sull’autodifesa, del suo DARE PER SCONTATO che sia così, è più forte dell’evidenza dei fatti. La portata della narrazione corrente ha un peso maggiore rispetto alla meticolosità e alla giusta analisi delle prove.

Eppure, se mezza Italia ha paura che una legge permissiva sulla legittima difesa contro chi ti entra in casa possa portare a omicidi per vendetta camuffati da autodifesa, come mai nessuno pensa che ciò possa avvenire, che anzi ciò sicuramente avvenga, in molti casi di donne che ammazzano uomini?

Considerato tutto ciò, è evidente come il modo in cui tutti i media riportano questa e altre notizie di uccisioni di uomini da parte di donne, i commenti dei giornalisti e quelli della gente, rappresentino un esercizio spaventevole di bias ginocentrico. Quella ragazza potrebbe tranquillamente essere un’assassina e per la gente è diventata una santa, solo per via dell’enfasi data dai TG, e non certo per esiti dell’autopsia che confermassero o meno la versione della donna.

E questo è possibile dirlo indipendentemente dalla vicenda in sé. Perché non parliamo del caso ma della reazione da parte della popolazione, del doppio standard nella valutazione. Non importa se sia o meno realmente autodifesa, ma PERCHÉ e IN BASE A COSA la gente pensi in automatico che lo sia.Questo, questo è spaventoso. Questo è terribile. Questo è da cambiare.

[A.]

PS: Chi commenterà “fate attenzione, secondo me è stata legittima difesa perché…” riceverà in omaggio un bello zero spaccato in comprensione del testo.

Intervista a Santiago Gascó Altaba, autore del libro “La grande menzogna del femminismo”

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  1. “Un’opera titanica di contro-narrazione della Storia e dell’attualità” recita la retro copertina. Un’opera vasta?

Necessariamente. I protagonisti dell’opera sono il femminismo e, naturalmente, il suo antagonista, il patriarcato. Cos’è il patriarcato? Per esplicita ammissione, il patriarcato è ovunque ed “è tutto”: la Storia, la psiche, la politica, il sesso, l’amore, la famiglia… Chi vuole discutere di femminismo è dunque obbligato a discutere di “tutto”.

  1. C’è un punto di partenza?

Il punto di partenza è la definizione del termine femminismo. E non è un punto di poco conto. È un punto fondamentale. Solo una corretta comprensione e definizione del termine femminismo permette di addentrarsi oltre, di analizzare criticamente quel “tutto” appena accennato mediante una selezione accurata tra infiniti argomenti: Adamo ed Eva, la caccia alle streghe, il suffragio universale, le quote rosa, la violenza di genere, il sessismo nella lingua, l’eterno femminino, l’aspettativa di vita, le torture, i suicidi, il matrimonio, …

  1. Cos’è il femminismo?

Cosa non è il femminismo? È più facile iniziare al contrario.

Intanto il femminismo non è parità. Tutti i dizionari del mondo (tutti!) associano il termine femminismo al termine parità. La parola parità è presente in tutte le definizioni, parità di diritti (non di doveri!).

Il femminismo sarebbe il movimento che lotta per l’equiparazione dei diritti delle donne ai diritti degli uomini.

Il femminismo non sarebbe il movimento che lotta per l’equiparazione dei diritti degli uomini ai diritti delle donne.

Trovate qualcosa di paritario nelle due premesse soprastanti? La parità si definisce per sé, senza bisogno di qualifiche. Quando è necessario specificare il “tipo di parità” – delle donne verso gli uomini, non degli uomini verso le donne –, allora non è più parità.

L’incontro di Seneca Falls negli Stati Uniti nel 1848 segna, per la maggior parte delle storiche femministe, la nascita del movimento femminista associativo. Da quella data fino ad oggi è trascorso più di un secolo e mezzo e centinaia di migliaia di iniziative, campagne, rivendicazioni, manifestazioni del movimento femminista a favore dei diritti delle donne. Dal 1848 fino ad oggi, quante sono state le iniziative, campagne, rivendicazioni o manifestazioni del movimento femminista a favore esclusivo di un qualsiasi diritto dell’uomo? Voi ne conoscete qualcuna? Allora, dove risiede la parità?

(Menzione a parte, in questi ultimi anni, meritano i permessi di paternità. Introdotti per richiesta anche da una parte delle associazioni femministe, ad esempio in Spagna, le loro intenzioni non erano quelle di parificare i diritti ma, per esplicita ammissione, si cerca di decostruire l’uomo patriarcale, s’incoraggiano le cure domestiche per favorire lo sviluppo professionale delle donne).

  1. Se ho capito bene, il femminismo sarebbe la dottrina che stabilisce che gli uomini non hanno bisogno di diritti perché li hanno già conquistati tutti?

Sì, ma manca ancora un altro pezzo nella comprensione del termine femminismo.

Oggi il femminismo, come il patriarcato, è “tutto”. Molte storiche femministe hanno augurato esplicitamente la distruzione delle religioni, oppressive e patriarcali, eppure esistono anche la teologia femminista e le femministe teologhe. Per la dignità del corpo delle donne manifestano a braccetto suore e prostitute, tutte femministe. Nella storia del femminismo e ancora oggi ci sono femministe regolamentariste e femministe abolizioniste della prostituzione, femministe con velo e femministe anti-velo, femministe abortiste e femministe anti-abortiste, pro-sufragio femminile e anti-sufragio femminile, comuniste e borghesi, nudiste e pudiche, socialiste e capitaliste, femministe dell’eguaglianza e femministe della differenza, … Al di là dell’esistenza di qualsiasi programma razionale e articolato, tutte si dichiarano femministe.

Di questa eterogeneità abbiamo tutti conferme, quando nelle interviste, le stesse femministe, per giustificare posizioni contrapposte o comportamenti non condivisi, affermano che esistono “molti femminismi”. Anche la stessa storiografia femminista è divisa in ondate diverse (tre o addirittura quattro, secondo le fonti che si adoperano), e, malgrado le proprie contraddizioni in alcuni casi anche interne, tutte si dichiarano femministe.

Questo permette a tutti di avvicinarsi al femminismo in maniera confortante, aderiamo a quello che ci compiace e scartiamo quello “sbagliato”. “Io sono femminista della prima ondata, io invece femminista della terza ondata, io sono femminista abolizionista, io invece femminista liberale…”. Tutti femministi e tutti contenti.

  1. Un femminismo alla carta?

In pratica sì. Siamo di fronte a un grossolano gioco ermeneutico, una semplice creazione di sistemi o gruppi di linguaggio ma anche di valori, che ci permette a tutti di poter scegliere tra un femminismo conveniente e uno sconveniente. All’interno di questo gioco esiste sempre un femminismo corretto, un “femminismo moderato” e un femminismo sbagliato, un “femminismo radicale” o violento.

In questa maniera il termine Femminismo è sempre in salvo, inattaccabile, perché ci sarà sempre un femminismo conveniente, un “femminismo buono”.

Questa è una grande sciocchezza.

Le ideologie non si giudicano per la loro applicazioni, ma per i loro pochi dogmi, fondamentali, intorno ai quali aderiscono tutti gli accoliti. Non esiste un nazismo buono e uno cattivo, un comunismo buono e uno cattivo, un suprematismo bianco buono e uno cattivo, … Sono le ideologie, in toto, con i suoi dogmi, che sono buone o cattive.

Dopo questa lunghissima premessa, ritorniamo alla domanda: « cosa accomuna Lagarde o la Clinton alle attiviste del festival antisistema “Femminismo grasso, postporno e punk”? »

  1. Infatti, cosa accomuna la femminista Christine Lagarde, Direttore del Fondo Monetario Internazionale, e le femministe antisistema?

Siamo nel cuore della questione. Quale dogma comune spinge tutte queste donne a dichiararsi femministe e compagne di lotta? Io l’ho chiamato Principio Assiomatico Assoluto. Mi permetto di usare qualche frase del mio libro: « Tutto il movimento di liberazione è basato sull’assunto che la donna sia oppressa e che sia l’uomo a opprimerla. Su questo binomio, “donna-vittima/uomo-carnefice”, incisivo e chiaro, è stato eretto il più importante e influente edificio ideologico dell’ultimo mezzo secolo. Possiamo denominarlo “Principio Assiomatico Assoluto” »

Questo Principio Assiomatico Assoluto è una costante nella dottrina femminista, in ogni rivendicazione, in ogni manifestazione: donna vittima, uomo colpevole. Dunque, il femminismo si può definire molto più correttamente come “ideologia che promuove la liberazione delle donne dagli uomini” che come “ideologia che promuove la parità”.

Il mio lavoro vuole vagliare criticamente questo Principio che ci assegna il ruolo di vittima o di carnefice a seconda del sesso. Ma questo Principio è troppo generico per essere vagliato. A questo punto ho individuato quattro dogmi femministi più specifici e da questi è iniziata la mia disamina.

  1. Quali sono questi quattro dogmi?

« Primo dogma: Nel corso di tutta la Storia e in tutte le società la donna ha vissuto oppressa dall’uomo sotto una struttura sociale denominata patriarcato. La donna è la vittima della Storia, l’uomo il suo oppressore.

Secondo dogma: Attualmente la donna continua a subire discriminazione e oppressione, frutto di una eredità e di una struttura storica, che la colpisce in ogni ambito, in ogni attività e in ogni paese del mondo. Il dominio maschile è esercitato tanto nell’ambito sociale – la chiesa, la scuola, lo stato – come nell’unità domestica. Oggigiorno la donna è la vittima, la società maschilista il suo oppressore.

Terzo dogma: Femminismo dell’uguaglianza. Donna non si nasce, si diventa. Il sesso (il corpo) si eredita, il Genere (la psiche) si costruisce. Le strutture mentali femminili sono un prodotto dell’educazione storica (patriarcato) e sociale. È necessario destrutturare le “costruzioni sociali patriarcali” (famiglia, religione, scienza, linguaggio).

Quarto dogma: Femminismo della differenza. In molti ambiti è connaturata nella donna una superiorità intellettuale e comportamentale rispetto all’uomo, principalmente nell’ambito morale. Lo status di vittima storica dell’oppressione maschile attribuisce di fatto alla donna una superiorità morale ontologica. »

  1. Come possiamo essere certi che questi dogmi riescano a determinare con precisione l’essenza della dottrina femminista?

Tanto l’esistenza di questo Principio Assiomatico Assoluto quanto quella dei quattro dogmi è supportata da numerose citazioni esplicite femministe, molte delle quali provengono dal femminismo storico.

  1. Infatti, il libro contiene un numero impressionante di citazioni e riferimenti testuali.

Circa 6.000 nell’opera completa. L’opera è divisa in due volumi. Il primo volume tratta il Principio Assiomatico Assoluto e il Primo Dogma. Il secondo gli altri tre dogmi e le conclusioni. Tutta l’opera è approcciata da un punto di vista prevalentemente storico, ma non solo, dove si alternano di continuo prima il testo discorsivo e successivamente le citazioni e i riferimenti che lo riguardano.

Il motivo che mi ha spinto ad adoperare testualmente le citazioni è semplice.

Oggigiorno il femminismo è la dottrina dominante, nelle istituzioni, nei media, nelle scuole. La mia posizione è che il femminismo è un’ideologia deleteria, e questa è una posizione controcorrente e molto politicamente scorretta. Molte delle mie posizioni controverse si basano su citazioni femministe, perfettamente verificabili. Chi se la prende con me, se la deve prendere anche con Simone de Beauvoir, Kate Millett, Germaine Greer, Phyllis Chesler, Juliet Mitchell, Mary Wollstonecraft, Christine de Pizan, …

  1. In che modo si vagliano criticamente gli argomenti specifici? È possibile fornire un esempio? Ad esempio, la caccia alle streghe.

Sì, lo vediamo però un’altra volta. Credo sia importante metabolizzare quanto è stato detto. Anche se un po’ lungo, definire e capire cosa è e cosa non è il femminismo credo sia il primo passo, determinante, per poter affrontare il mondo “femminista” in maniera critica così come le femministe affrontano ogni giorno in maniera critica il loro mondo “patriarcale”. Grazie!

  1. Grazie per aver risposto al nostro invito.

L’appello all’autorità: perché l’ipse dixit non può sostituire il pensiero critico

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Abbiamo scritto fior di articoli, noi di Antisessismo. Abbiamo passato centinaia se non migliaia di ore ad informarci, raccogliere dati e fonti, fare brainstorming, sviluppare idee e tradurle in parole che evitassero ogni possibile fraintendimento, muovendoci su un campo che chiamare minato è dire poco. Ci siamo preoccupati di rispondere a tutte le obiezioni, spesso prevedendole in anticipo e tirandocele addosso da soli come test di validità per ciò che scrivevamo.
Ma state certi che se un domani qualche autorità di rango superiore a quelle attuali se ne uscisse nuovamente con una qualsiasi delle menate misandriche che abbiamo debunkerato grazie alla logica, tantissime persone direbbero “ok Antisessismo, però uno col PhD in gender studies / il sociologo / l’antropologo / l’ONU / il Padreterno ha detto X, chi sono io per dire che non è vero?”. Poco importa che spesso la presunta autorità in materia non fornisca nemmeno un’argomentazione, o fornisca argomentazioni stupide alle quali avevamo già risposto, o ancora dati calcolati male: persino una frase figlia di infiltrazione ideologica, magari buttata lì da un social media manager che manco si è consultato con gli altri, assurge automaticamente a verità incontestabile e spazza via tutto ciò che c’è dall’altra parte, ivi inclusi i nostri articoli basati su fatti e logica rigorosa. Cose, queste ultime, che dovrebbero essere invece le uniche ad importare davvero.

Prima di credere a qualcuno solo in quanto famoso e autorevole dovremmo infatti, e qui citiamo da un altro nostro articolo, “domandarci perché viene considerato autorevole e se ne è davvero degno, poi dovremmo chiederci su quali dati si è basato e con che metodo li ha ottenuti. Fatto ciò, dovremmo passare alle argomentazioni a supporto della tesi: hanno rigore logico ed epistemologico o sono un cumulo di forzature e fallacie logiche? È stato forse tratto in inganno dalla propria ideologia? Ha messo in luce verità oggettive o ha solo dato un’interpretazione soggettiva della realtà? Anche perché ci sono vari studiosi che la pensano come noi e che quindi il patriarcato lo negano. E no, il numero non è in sé importante (ad numerum), così come in sé non è importante chi afferma (ad hominem) o la sua origine (fallacia genetica): vanno considerate le argomentazioni nude e crude e la veridicità dei dati a supporto”.

“Però aspettate un attimo, noi non possiamo fare i tuttologi, le nostre giornate durano 24 ore e non 100, per forza di cose in àmbiti che non sono di nostra specializzazione dobbiamo affidarci alle autorità del settore…”

Allora vi veniamo incontro con un ragionamento più specifico. Piuttosto che non affidarsi a nessuna autorità in nessun campo, facciamo che bisogna almeno valutare, soprattutto nelle scienze soft, l’affidabilità delle autorità di settore e l’assenza di influenze ideologiche. Gli eventuali errori infatti non risiedono sempre nella verità epistemologica degli argomenti, ma altrettanto spesso nella loro validità logica. In altre parole, anche senza approfondite conoscenze settoriali è possibile individuare, semplicemente ragionando, degli errori nel modo in cui le conclusioni vengono fatte seguire dalle premesse. Non bisogna quindi farsi intimorire dalla retorica accademica, dal linguaggio tecnico e quanto altro: una fallacia logica rimane tale a prescindere dal livello di specializzazione di chi la commette. D’altronde, non sono rari i casi di “esperti” privi di qualsivoglia senso critico e che sono diventati tali attraverso il semplice apprendimento nozionistico di pensieri altrui.

Non è quindi necessario saperne di antropologia per accorgersi, ad esempio, di quanto sia ridicola una teoria secondo la quale gli uomini si sarebbero svegliati storti una mattina di decine di migliaia di anni fa e avrebbero deciso di prendere e sottomettere il restante 50% della popolazione, tra cui le loro madri, sorelle e figlie, anziché collaborare con loro per la sopravvivenza in tempi dove essa già di suo era molto difficile. Semplicemente non ha alcun senso, non è funzionale, e probabilmente la specie umana non sarebbe arrivata fino ad oggi se le cose fossero andate davvero così. Non serve essere dei geni per orientarsi verso una spiegazione storica delle relazioni tra i sessi basata sulla cooperazione tra uomini e donne, invece che su ipotetici conflitti. A maggior ragione se ogni singolo elemento che la Teoria del Patriarcato spiega fallacemente come oppressione si spiega, e meglio, come collaborazione.

Ora, capiamo il vostro smarrimento: normalmente ci troviamo abbastanza bene con la nostra euristica di affidarci ciecamente alla linea che risulta maggioritaria tra gli esperti, poiché normalmente o ci azzeccano o comunque fanno uno dei migliori tentativi possibili di comprensione della realtà sulla base delle informazioni (talvolta incomplete) in loro possesso. Anche quando una di queste posizioni si rivela poi sbagliata, chi si era affidato ad essa può dire di essersi basato semplicemente su quello che si sapeva all’epoca.

Ma cosa accade se a dominare in un determinato settore non è una visione del mondo “plausibile” ma una vera e propria teoria del complotto che, quando esaminata razionalmente, fa acqua da tutte le parti? Sì, parliamo ancora della Teoria del Patriarcato, credenza invisibile e che tutto pervade, e che come tale nessuno sente il bisogno di dover giustificare. Essa si è imposta non attraverso un processo dialettico, ma proponendosi direttamente come unico frame interpretativo possibile.

Risulta davvero difficile individuare altre aree dove succeda qualcosa di paragonabile. Le questioni di genere sono un àmbito sui generis, avvelenato da infiltrazioni ideologiche, egemonie cognitive [vedi nota] e interessi particolaristici, spesso anche economici.

Il fatto che in tutti questi anni quasi nessuno studioso abbia mai provato a confutare la suddetta teoria egemone è motivo sufficiente per affermare che costoro hanno fallito nell’emanciparsi da un presupposto fallace, poiché in mezzo a tante seghe mentali non sono mai riusciti a farsi due domande e identificarlo come tale. O non hanno mai voluto, visto che di voci controcorrente ce ne sono state, ma non è mai stata concessa loro la visibilità necessaria per avviare un dibattito nella società. Si è preferito invece continuare a far partire le proprie analisi da un dogma indimostrato e indimostrabile. Chi agisce così non merita la nostra fiducia, e non merita di essere considerato autorevole.

Il problema sta nel fatto che si è abituati ad àmbiti dove gli influssi ideologici sono minori, o almeno riconoscibili come tali, e così si finisce per applicare anche alle questioni di genere uno schema che qui non può assolutamente funzionare. Qui le shortcut di autorità sono più fuorvianti che altrove, per cui tutti i passaggi logici vanno fatti in prima persona, e non delegati ad altri. Altrimenti non ci mettono nulla a dire la qualunque per rendervi inoffensivi.

Quando la gente che ragiona per appelli all’autorità incontra autorità ideologizzate, l’antisessista è un uomo morto. Fate un regalo a voi stessi e al mondo: pensate quanto più possibile con la vostra testa e diffidate dagli ipse dixit.

[H.]


Nota: Il concetto di egemonia cognitiva è stato descritto nei seguenti termini dal sociologo Lorenzo De Cani, in un suo articolo del 2014:

“Se in una società prevale un particolare modo di interpretare la realtà, possiamo affermare di essere in presenza di una forma di pensiero unico che si esercita grazie ad un’egemonia cognitiva: non vi è infatti un controllo diretto dei comportamenti delle persone, bensì una direzione delle conoscenze e, attraverso queste, delle coscienze. Caratteristica distintiva dell’egemonia cognitiva è di esulare dalla consapevolezza, in quanto è essa stessa a costruire il quadro entro cui si produce la consapevolezza della realtà sociale. In questo senso si distingue dall’ideologia per differenze sottili ma determinanti: infatti, se l’ideologia cerca di imporsi come unica forma di pensiero accettabile, l’egemonia cognitiva mira a porsi inavvertitamente come unica forma di pensiero possibile; se la prima si manifesta apertamente in ogni ambito che riesce a raggiungere, la seconda pervade silenziosamente lo spazio sociale: la sua invisibilità è condizione per la sua efficacia.”

De Cani applica questo suo discorso al neoliberismo in economia, ma ciò che notiamo noi è che di un fenomeno definito in tal modo, la Teoria del Patriarcato ne rappresenta la quintessenza.